E Maroni ne approfitta: "Adesso pulizia"

L’ex ministro fa il duro con Bossi: "Bisogna mettere le persone giuste al posto giusto". E diserta via Bellerio

E Maroni ne approfitta: "Adesso pulizia"

RomaLe focacce genovesi, che Belsito usa portare in via Bellerio per conquistarsi le simpatie, stavolta non ci sono. Bossi e i colonnelli al completo eccetto uno (ma con l’aggiunta di Tremonti), aspettano il tesoriere tutto il giorno (arriverà dopo le 19), asserragliati nel quartier generale fin da mezzogiorno, due ore dopo la perquisizione-choc dei carabinieri. L’«eccetto uno» è Roberto Maroni, che non si presenta al vertice della Lega pur trovandosi a Milano, provocando mugugni e critiche da Bossi e dagli altri colonnelli («ci mette la faccia solo quando deve prendere gli applausi» sibila uno di loro...).
Una mossa dal significato chiaro, riassumibile in una frase detta agli amici: «Io avevo già chiesto la rimozione di Belsito tre mesi fa. Non hanno voluto? E allora questa grana se la gestiscono loro». Il Bobo ha chiesto ancora, interpellato a caldo subito dopo il blitz, il passo indietro del tesoriere: «Deve dimettersi, la Lega è parte lesa. Dobbiamo fare pulizia, un’operazione trasparenza, mettere le persone giuste al posto giusto». E dopo mezz’ora di «audizione», dopo una richiesta unanime, Belsito firma le sue dimissioni da tesoriere senza pensarci troppo. Anche per un motivo: Belsito non è parlamentare, e con quelle accuse potrebbe finire in custodia cautelare se restasse tesoriere (reiterazione del reato, inquinamento prove). Se non si fosse dimesso, Maroni e i suoi avrebbero chiesto un consiglio federale per un provvedimento disciplinare (dalla sospensione all’espulsione).
Ma la bomba che gli artificieri maroniani tenevano in serbo era un’altra (se Bossi avesse ancora difeso Belsito): non un consiglio federale, ma il congresso federale. Cioè l’assemblea suprema della Lega, quella che elegge il segretario federale e che quindi può deporre il Capo, Umberto Bossi.
Il caso Belsito ha terremotato la Lega, non ha niente a che vedere con l’indagine su Boni, che ha trovato compatto tutto il partito nella difesa del leghista. Stavolta nessuno si azzarda a difendere Belsito, solo Bossi e la sua famiglia, coinvolta nel complicato giro di soldi secondo la ricostruzione dei pm. Il motivo è semplice. Belsito gode di scarse simpatie dentro la Lega e non ha mai chiarito i movimenti di denaro, come gli era stato chiesto di fare dal consiglio federale di fine gennaio. Doveva presentare entro sessanta giorni una relazione dettagliata sulla gestione finanziaria degli ultimi due anni, e trasmetterla al comitato amministrativo del Carroccio, composto dai senatori Castelli e Stiffoni. Ma non l’ha mai fatto. Non solo, Belsito non ha neppure risposto alle lettere che gli venivano mandate dagli amministratori, per sollecitare i chiarimenti. Zero, silenzio.
Forse perché finora Belsito si è sentito coperto dal Capo, che l’ha definito, dopo la tempesta sui milioni investiti su fondi di Cipro e Tanzania, un «bravo amministratore». Il tesoriere è anche parte integrante di quell’area leghista (il famoso «cerchio magico») che coccola «il Trota» Renzo Bossi e comprende anche Rosi Mauro, senatrice grande amica della moglie di Bossi, e segretaria del Sindacato Padano (il Sin.Pa.). Le voci che si rincorrono da qualche mese sull’uso dei soldi di partito toccano proprio quei rami del «cerchio». Si dice che Maroni, in un faccia a faccia con Bossi, abbia detto al Capo che i fondi (pubblici) del partito venivano usati anche per pagare spese private di qualcuno molto vicino al lui (che però ha risposto duro a Maroni: «Tu vuoi fare il capogruppo alla Camera per controllare la cassa del partito, ma io non te lo faccio fare»). E tra i parlamentari rimbalzano notizie (o leggende?) su case, terreni e auto dei famigliari e intimi dei Bossi. Una casa in Sardegna e una a Gemonio, proprio davanti casa Bossi, acquistati di recente da Rosy Mauro, capa del Sin.Pa. Un’azienda agricola vicino a Varese comprata per Roberto Libertà Bossi. La passione per le auto di grossa cilindrata del «Trota». E poi «un appartamento in centro a Milano - ha scritto Claudia Fusani sull’Unità - dal valore di oltre un milione che potrebbe persino essere destinato a Renzo Bossi».
Solo veleni? Nella nota del Noe, il reparto dei carabinieri che indaga sul «sistema Belsito», emergerebbero viaggi, alberghi, cene per i figli di Umberto Bossi e per Rosi Mauro. Una delle molte sedi perquisite è quella del Sin.Pa., in via Bellerio. Come mai? Un errore, secondo il legale del sindacato. Il Sin.Pa.

(di cui è impossibile sapere il numero di iscritti) «non ha nulla da nascondere è non riceve finanziamenti pubblici», assicura la Mauro. Perquisito anche l’ufficio della segretaria di Bossi e quello della responsabile gadget della Lega. Siamo alla resa dei conti (correnti).

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