E ora Alfano prova a ricattare Matteo sul lavoro

Milano Matteo Renzi gli ha sfilato il congegno della nuova legge elettorale, portandolo di peso dal Senato alla Camera. E Angelino Alfano si mette subito di traverso, provocando il fresco leader del Pd sul tema del lavoro: «Vedremo se Renzi dirà in inglese le tesi della Cgil o se porterà le tesi riformatrici». Nel teatrino della politica è il giorno delle punture di spillo fra i capi della generazione che si è appena affacciata sul ponte di comando. È una specie di gioco del domino: il premier Enrico Letta prova ad anticipare Renzi sulla questione incandescente del finanziamento ai partiti battezzando il proprio intervento; Renzi va in giro a spiegare che Alfano non può porre diktat al governo, anche perché la sua massa d'urto è modesta; lui, Angelino, allunga subito una stoccata cercando di allargare la crepa di contraddizioni che attraversa il corpaccione del Pd.
«Abbiamo le idee assolutamente chiare sul contenuto del contratto di governo - incalza Alfano nella conferenza stampa tenuta all'hotel Melià di Milano - la prima cosa è il lavoro e la prima cosa da fare è semplificare le procedure per assumere».
Insomma, il Nuovo Centrodestra cerca un posto al sole e sgomita per guadagnare visibilità, stretto com'è nella tenaglia fra il Pd a trazione renziana che vuole modificare in fretta il sistema di voto, e una Forza Italia sempre più sulle barricate e antigovernativa. Così Alfano prova a incunearsi fra precari, cassintegrati, esodati nel giorno in cui presenta la classe dirigente del Nord. È una sfilata di amministratori locali della Lombardia, del Veneto, del Piemonte. I sondaggi sono ballerini, e alcuni anche pericolosamente al ribasso, ma i numeri dell'apparato sono buoni. «Siamo nati quattro settimane fa - esordisce il vicepremier che si alterna sul palco con il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi - e una settimana fa avevamo raggiunto il traguardo dei 1200 amministratori locali. Ora, dopo sette giorni, posso annunciare che le cifre sono addirittura raddoppiate: siamo 2500».
La sfarzosa hall del Melià sembra una didascalia sotto le parole di Alfano: passano sindaci, consiglieri regionali, assessori del Nord. Ecco Guido Podestà, presidente della provincia di Milano e, un po' a sorpresa, Alan Rizzi, ex capogruppo di Forza Italia a Palazzo Marino, un uomo legato, legatissimo al Cavaliere. E invece pure lui ha lasciato la casa madre e ora traccia la strada: «Non basta essere filogovernativi, ci vuole un governo del fare. Voi - afferma rivolgendosi alla coppia Alfano-Lupi - siete le sentinelle, noi saremo le sentinelle delle sentinelle, vi staremo addosso perché il governo faccia le riforme e aiuti il nostro territorio ad essere competitivo».
E allora Alfano si sposta immediatamente sul confine tormentato del Pd: «Più si toglie la Fornero e si ritorna alla legge Biagi e meglio è. Così vedremo se nel campo della sinistra, che si proclama la nuova sinistra, comanda ancora la Cgil o se le facce nuove hanno anche idee nuove». Renzi è avvisato. Il Nuovo Centrodestra cerca un'identità e vuole assolutamente portare a casa qualche risultato per non apparire un inutile doppione di Forza Italia.
Per il resto Alfano svolge il compitino sul bipolarismo: «O si sta di qua o si sta di là. Noi siamo nel centrodestra e ci va bene andare a votare alle politiche con il sistema collaudato con i sindaci. Ora dobbiamo eleggere il sindaco d'Italia».

Un prospettiva che piace a Renzi che però, pur di stringere dopo anni di chiacchiere, sarebbe disposto a cambiare progetto. Tattica e confusione. Applausi per Alfano. Che rilancia le primarie: «Tutta la nostra classe dirigente, a tutti i livelli, sarà scelta dalla base con le primarie». L'epoca del partito carismatico è finita.

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