Brutta tegola di Ferragosto per Fiat. La Corte d'Appello di Roma ha respinto il ricorso del Lingotto contro la sentenza del 21 giugno scorso che obbligava il gruppo guidato da Sergio Marchionne ad assumere 145 operai iscritti alla Fiom presso lo stabilimento Fabbrica Italia di Pomigliano, in provincia di Napoli. In particolare, il giudice ha dichiarato «inammissibile» la richiesta di sospensiva dell'esecutività del verdetto sancendo in pratica l'obbligo di mettere a libro paga anche gli iscritti al sindacato Cgil delle tute blu.
Fiat cerca di smorzare i toni parlando di «una decisione semplicemente tecnica»: il ricorso è stato respinto perché non c'era urgenza di fermare l'esecuzione della sentenza in quanto la Fiom non ha ancora messo in pratica nessun atto concreto. Tutto rimandato, quindi, all'udienza di merito del prossimo 9 ottobre con un avvertimento. «Fabbrica Italia Pomigliano - si legge nella nota del Lingotto - chiederà nuovamente un provvedimento di sospensione» se «la Fiom dovesse decidere di attivare strumentalmente iniziative di esecuzione».
Iniziative che il segretario generale dei metalmeccanici cigiellini Maurizio Landini probabilmente intraprenderà. «La Fiat ha compiuto una discriminazione a Pomigliano e la deve rimuovere assumendo i 145 nostri iscritti», ha commentato il numero uno della Fiom alzando il tiro dello scontro. «Se non sarà così, saremo di fronte all'ennesima violazione e credo che a quel punto le forze politiche non potrebbero continuare a stare zitte», ha rimarcato cercando quelle sponde parlamentari che finora gli sono mancate. E sollecitando il governo a «convocare un tavolo» tecnico.
È sceso nei dettagli, invece, il segretario nazionale Fiom, Giorgio Airaudo, già leader dei metalmeccanici torinesi. «Se la Fiat proseguirà con il suo comportamento ostruzionistico, chiederemo l'esecuzione della sentenza, per la quale ci siamo già attivati», ha dichiarato non mancando di sottolineare che si tratta dell'«ennesima sconfitta incassata da Fiat da quando ha scelto la via dello scontro: Marchionne avrebbe fatto meglio a occuparsi del prodotto e a cercare il consenso dei lavoratori».
Il punto è proprio questo. Una sentenza di un magistrato romano sta mettendo in discussione il proposito dell'amministratore delegato italo-canadese di tagliare i ponti con il vecchio consociativismo sindacale puntando su maggiore produttività e riducendo al minimo la presenza in azienda di focolai di conflitto. Una scelta che si è tradotta nell'uscita da Confindustria e nella stipula di un nuovo contratto che proprio la Fiom non ha riconosciuto.
Il problema, tuttavia, ha anche un altro risvolto molto più pratico: Fiat potrebbe dover assumere 145 operai Fiom, pagarli e non poterli più licenziare anche se il giudizio di merito dovesse darle ragione. Anche il nuovo articolo 18, infatti, lascia al giudice la facoltà di decidere se un licenziamento sia stato oppure no discriminatorio. «La situazione sarebbe stata migliore se il ricorso fosse stato accolto», spiega il giuslavorista Gabriele Fava evidenziando come «non eseguire un'ordinanza del giudice profila un reato penale che metterebbe in difficoltà per primo proprio il legale rappresentante di Fiat». Insomma, il tempo stringe e le lungaggini di un giudizio di appello non concederanno molte scappatoie.
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