Ecco la rete di Tosi l'ex camicia verde che studia da premier

La caduta di Bossi ha spalancato le porte al leghista eretico, a caccia di finanziatori per il grande salto

Ecco la rete di Tosi l'ex camicia verde che studia da premier

Da camicia verde ad aspirante premier. Per Flavio Tosi la metamorfosi sarà completata il 6 ottobre a Mantova, quando presenterà ufficialmente la propria candidatura a qualcosa che non s'è mai visto: le primarie del centrodestra. Ambizione? Presunzione? Disperazione, sibilano i suoi detrattori, visto che il declino della Lega costringe a inventarsi qualcosa di nuovo? Oppure il sindaco di Verona può davvero trasformarsi nell'euomo nuovo del centrodestra?
Tosi si presenta come l'anti-Renzi. Stessa età, più o meno. Stesso mestiere di sindaco, benché il veronese sia al secondo mandato. Stessa carica rottamatrice dei padri: in un caso il vecchio Senatùr, nell'altro i dinosauri ex comunisti. Lo stesso modo di parlare, schietto e diretto. E anche la stessa passione per la politica nata sui banchi del liceo.

Tosi prese nel 1990, a 21 anni, una delle prime tessere leghiste del Veneto. Quattro anni dopo era già consigliere comunale e capogruppo. Mieteva consensi nella Curva sud dell'Hellas Verona pur essendo tutt'altro che un estremista perché Tosi ha sempre badato al sodo. Dal Comune passò alla Regione, prima consigliere e poi assessore alla Sanità sull'onda del record nazionale di preferenze. E a Venezia conquistò subito l'appoggio di primari e manager sanitari.
Quando divenne sindaco, disse che doveva tutto a Bossi e s'ispirava alla «città bomboniera» di Gentilini. Due idoli rottamati. Cominciò con il ripulire Verona da accattoni, prostitute, centri sociali e campi nomadi abusivi. Da ministro dell'Interno, Roberto Maroni scelse Verona e il suo sindaco senza cravatta e con la barba lunga per sperimentare le ordinanze sull'ordine pubblico. Tosi abbozzava la nuova Lega, tutta concretezza e buona amministrazione, lontana dagli orpelli secessionisti. I suoi avversari erano costretti a rivangare episodi come i tuffi di Capodanno nel Garda, il volantinaggio che gli costò la condanna per razzismo (due mesi di reclusione, pena sospesa) e la passeggiata in Comune con un tigrotto al guinzaglio, paragonato a Calderoli che portò un porcello a Lodi sul terreno della moschea. Tosi, invece, voleva fare pubblicità a un circo padano.

La nuova Lega, il Carroccio 2.0, prevedeva anche buoni rapporti con i poteri forti che i vecchi padani non digerivano. Assieme ai mercati rionali, Tosi ha preso a frequentare i salotti della Verona-bene, a ricucire i rapporti con la Curia, ad avvicinarsi alle potenti banche locali: la Fondazione Cassa di Risparmio, primo azionista italiano di Unicredit, e il Banco popolare. Fu lui, due anni fa, a condurre la battaglia per l'«italianità» di Unicredit minacciata dalla scalata libica. Ha piantato solide bandiere in tutti i posti del potere scaligero, dalle municipalizzate all'aeroporto ai board finanziari. Alla vigilia della rielezione ha spaccato in due il Pdl. E ora si dedica ai grandi progetti: nuova viabilità, grattacieli, riconversione di vaste aree degradate, il filobus e un contestatissimo traforo sotto le colline delle Torricelle. Senza mai dimenticare la presenza a tappeto su giornali e tv per spalleggiare Maroni.

La caduta di Bossi, che lo sopporta, ha spalancato la strada al leghista eretico diventato segretario veneto del Carroccio e vicesegretario federale. Una rete di rapporti e di appoggi che Tosi utilizzerà nella campagna per le primarie del centrodestra.

A Mantova presenterà una fondazione che lo finanzierà, il suo «Big Bang» appoggiato da professionisti e imprenditori veneti. Ma gli uomini di Tosi stanno battendo a tappeto tutto il Nord per cercare sostegni. E il sindaco anche quest'anno ha fatto le vacanze al Sud.

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