Ecco come si distingue un cattolico in politica

da Milano

Cattolici in fuga dal Partito democratico. Il 56 per cento di quelli che nel 2006 avevano dato fiducia all’Unione, il 13 e 14 aprile scorso, ha fatto una scelta diversa: il 24 per cento non dice quale, il 5,2 per cento si è schierato col Popolo della libertà, il 20,3 per cento si è spalmato in una serie eterogenea di partiti (dalla Sinistra arcobaleno alla Lega, da Italia dei valori a La Destra); solo una quota minima, il 2,3 per cento, è andata a quella che in teoria doveva essere la casa naturale, l’Udc. Il che, secondo gli esperti, significa una sola cosa: il voto cattolico tout court, nel nostro Paese non esiste più; i cittadini, più che ai valori religiosi, badano alle soluzioni concrete che la politica offre ai principali problemi di ogni giorno, dal lavoro alla sicurezza. Non a caso la maggioranza dei cattolici (il 42 per cento) ha votato per il Pdl, anche se si riconosce di più in Berlusconi (il 50 per cento) chi ha una maggiore dimestichezza con le pratiche religiose e va a messa almeno una volta al mese.
È un ritratto per certi versi inedito quello proposto dallo studio di due docenti universitari della Statale di Milano, Paolo Segatti e Cristiano Vezzoni, studio che sta per confluire in un volume, Senza più sinistra, curato da Renato Mannheimer e Paolo Natale. Già, perché spulciando le cifre e scandagliando l’identikit di quell’86 per cento di italiani che si dichiara «cattolico» - solo il 31 per cento in realtà è realmente praticante - viene fuori, secondo i due studiosi, la fine di un’epoca: quella dell’italiano che identifica in uno specifico partito politico i propri valori religiosi, come avveniva con la Dc.
Spiega il professor Natale: «Si era già visto in passato, ma adesso è diventato evidente, visto che c’era un’offerta specifica con l’Udc ma anche con la lista di Giuliano Ferrara: non c’è più da parte dei cattolici la richiesta di essere rappresentati da un partito politico, il veicolo religioso non funziona più. Quello che conta invece è la scelta politica, che si indirizza non in base alla cattolicità ma sul bisogno individuale».
Resta il dato della mancata riconferma della fiducia alla coalizione di sinistra da parte del 56 per cento di cattolici che nel 2006 aveva votato per l’Unione. Perché? «Non è proprio così – dice il professor Vezzoni – il dato è stato in parte travisato: dallo studio emerge infatti che tra quelli che nel 2006 avevano dichiarato di votare Unione il 24 per cento non dice cosa ha fatto adesso; del 75 per cento restante il 43,6 per cento ha riconfermato la scelta, il resto si è sparso tra Pdl, Udc, Lega, ma anche Sinistra arcobaleno, Italia dei Valori, La Destra. L’elettore cattolico è più sbilanciato verso il Pdl, è vero, ma non è una novità, rispetto al 2006 la forbice è sostanzialmente rimasta invariata. Molto interessante – prosegue - è invece vedere la sfera valoriale eterogenea del cattolico, che cambia a seconda che voti per il centrodestra o per il centrosinistra: su alcuni temi chiave di dibattito, quali coppie di fatto o eutanasia, le posizioni si allineano a quelle della politica.

E questo vuol dire due cose: il partito dei cattolici, che per tanto tempo si è inseguito, non funziona, le decisioni dei cattolici sono basate su ragioni mondane; l’altro dato è che nonostante i timori per l’ingerenza della Chiesa l’Italia è uno Stato laico: la Chiesa ha le sue opinioni, ma il cattolico prende le sue decisioni senza mediazioni».

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