Ha fatto piangere ed ora ha pianto lui. Pifferi di montagna? Nemesi storica? Chi la fa l’aspetti? Non so dire. Ho sempre guardato e ascoltato Antonio Di Pietro con sentimenti contrastanti: ecco il procuratore castigamatti, ecco il capopopolo retorico e roboante, ecco i suoi attacchi di afasia, quando alza di sei ottave il tono della voce e cerca di gridare come un soprano che non è in un cataclisma di consonanti che richiederebbe l’intervento della protezione civile. Ma il punto è che il suo partito, imprudentemente chiamato Italia dei Valori, si è ancora una volta impantanato in una storiaccia di soldi, o forse valori, prelevati da un suo capogruppo laziale (che se ne andava in giro dando del mascalzone a Fiorito) disseminati in un groviglio di conti correnti, bonificisenza causale se non quella furbesca e sospetta di «rimborso spese ».
Si dice, anzi lo dice lui stesso, che abbia pianto. E io gli credo, posso benissimo capire che personalmente non abbia nulla a che fare con questi traffici, così come Rutelli dice di non aver mai avuto a che fare con i traffici di Lusi. Non siamo qui per accusare, non siamo qui per mandare alla gogna la gente e farla morire di crepacuore o ficcandosi un sacchetto di plasticasul volto come fece il povero Cagliari.
Non è l’ora della retorica, ma semmai dell’antiretorica. Oggi in tanti dicono e scrivono che siamo tornati di nuovo al 1992, quando il signor Fiorito, ventenne e rampante, lanciava le monetine a Craxi davanti all’hotel Raphael a Roma. Ma il fatto è che non siamo tornati a nulla. Siamo, sono, sempre stati. Il luridume che oggi spurga è un luridume storico, è tutto un «A Fra’ che te serve?», moltiplicato per l’infinito perché l’occasione fa l’uomo ladro, le leggi farlocche sono aggirabili, i tesori e i tesoretti sono a portata di mano dei lestofanti e manca in Italia il nerbo morale che si formò secoli orsono nell’Europa del Nord e in America grazie al terrorismo e la frusta delle riforme protestanti.
Questo non vuol dire che non si debba colpire, arrestare, processare, condannare, che non ci si debba indignare e additare. Però, adelante Pedro y con juicio . Seun politico, un commentatore, un giornalista, un cardinale, un filosofo della domenica volesse speculare su questa brodaglia di marciume e ruberie per sostenere che esiste una razza superiore e indenne dalla tentazione e dall’intascamento del denaro pubblico o comunque munto dalle tasse pagate da chi non può evitare di pagarle, compirebbe una operazione ingenua e anche in malafede. E Tonino Di Pietro ne è l’esempio lampante. Anche la Lega dei tesori in Tanzania ne è un esempio lampante. Tutti i Torquemada con la fiaccola in mano per accendere il rogo, sono un esempio lampante di una falsa retorica perché i fatti mostrano e forse dimostrano che è il sistema Italia con le sue furberie congenite e legislative, a causare lo scoppio dei bubboni e la diffusione della peste.
Da vecchio e testardo anticomunista quale sono voglio ricordare il peccato originale ed originario del malcostume che stava nell’ondata di miliardi che il vecchio Pci, finché fu in vita e malgradoi modesti strappetti berlingueriani sempre incompiuti, riceveva illegalmente da Mosca, come Valerio Riva dimostrò conti alla mano. Dov’era l’inghippo? Me lo confessò Cossiga. Quando l’uomo che andava a Mosca a prendere la valigetta piena di dollari dalle mani di Ponomariov, lo sapevano tutti e tutti l'aspettavano a casa: il ministero degli Interni,l’ambasciata americana, i servizi segreti, la Democrazia Cristiana. Tutti volevano solo essere sicuri che i dollari non fossero falsi e poi provvedeva lo Ior di Marcinkus a cambiarli in Vaticano.
Qual era la conseguenza? Che tutti i partiti della prima Repubblica si sentivano autorizzati a rubare, taglieggiare, raccogliere fondi illegali-appunto«A Fra’ che te serve? » - perché tanto dovevano bilanciare il vantaggio del Pci quanto a disponibilità economica. Il Pci era sempre in mezzo al guado, come scriveva Scalfari e non riusciva mai a scegliere l’Occidente una volta e per sempre. E ora sono tutti in mezzo al guano, maleodorante come tutti i paté di escrementi. Nacque l’etica dell’«Ho rubato per il partito » (lodevole) contro l’«Ho rubato per le mie tasche e il mio benessere» (biasimo, indignazione). In realtà chi corrompeva la democrazia con fondi illegali era e resta molto più colpevole di chi si riempie le tasche di diamanti e mazzette. Ma tant’è. L’operazione «Mani Pulite» finse di restaurare la pubblica moralità a suon di gogna, suicidi e arresti preventivi a scopo terroristico, ma non restaurò un bel niente.
E Antonio Di Pietro, che di quella operazione fu il samurai e il Saint- Just, raccoglie oggi i frutti puteolenti di quella storiaccia che non restaurò affatto il bene morale, ma fu soltanto fumo negli occhi e chiacchiere da bar. Di Pietro oggi dice di aver pianto per la rabbia e lo sconcerto di quel che è accaduto e che vede coinvolte persone a lui vicinissime e di cui si fidava.
Io gli credo. Le sue lacrime saranno state certamente irate e genuine. Condoglianze. Ma ciò detto proviamo anche la blasfema pulsione di ridere o almeno sorridere. Davvero vogliamo ridurre ognuno dei mille, diecimila, centomila episodi di malversazione e furto di denaro, al benigno ruolo di «caso sporadico»? La solita mela marcia nel paniere di mele immacolate?
Suvvia, non raccontiamoci balle. Di Pietro ha avuto, e non solo oggi e da oggi, molti esempi e avvertimenti che le cose non stanno così e che chiamare Italia dei valori un partito, avrebbe portato prima o poi al ludibrio.
E allora sarebbe bene che Di Pietro e tutti i dipietrini e grillini e torquemadini la piantassero di far finta di credere, come faceva anche il povero Berlinguer, nella razza ariana della morale, la differenza genetica che separa i profili lombrosiani.
La morale pubblica si tutela con leggi adeguate, con una magistratura indipendente e attiva incidendo profondamente nelle abitudini e nelle tentazioni, in modo pratico, costante, severo e rivoluzionario. Per ora abbiamo soltanto lacrime teatrali e imprudenti, sbalordimenti che non servono a voltare pagina, perpetuando il girone infernale.
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