Roma - Un governo del presidente, o di scopo che dir si voglia. Con tre-quattro punti programmatici da realizzare e una prospettiva temporale da definire, magari quella del maggio prossimo quando si terranno le elezioni europee.
È questa il nebbioso scenario che si sta profilando all'orizzonte, ferme restando le perplessità del Pdl, poco convinto di varare un esecutivo privo di una vera legittimazione politica. Il tutto senza rinunciare alla possibilità di mettere in piedi una «entità gemella», quella «Convenzione» lanciata dal Pd che avrebbe il compito di mettere mano alle riforme «di sistema». O per dirla con le parole di Enrico Letta «coinvolgere tutti i partiti per riformare la legge elettorale, abolire le province, ridurre il numero dei parlamentari. Un luogo nel quale deve avvenire la legittimazione reciproca di tutti i partiti, per fare le riforme a maggioranza larga e non a maggioranza ridotta».
Quali potrebbero essere, però, le priorità da selezionare in questo difficile esercizio di forzata convivenza tra Pdl, Pd, Lega, Scelta Civica e, perché no, Movimento 5 Stelle? Il primo punto all'ordine del giorno del prossimo (eventuale) governo dovrebbe essere la riforma della legge elettorale. Una esigenza sentita da tutti, almeno a parole, visto l'esito dell'ultimo voto. Per Beppe Grillo «si potrebbe andare in Parlamento e abolire il Porcellum per tornare alla legge precedente. Sarebbe un segnale». E sarebbe anche l'unico punto su cui il comico potrebbe prestarsi al dialogo, quello del ritorno al Mattarellum. In realtà la modifica della legge è più facile a dirsi che a realizzarsi, visti i tentativi falliti nel 2012, durante il governo Monti, con il Pdl deciso nel promuovere il ritorno alle preferenze e il Pd favorevole piuttosto al rilancio dei collegi uninominali.
Il secondo punto che potrebbe ricadere a buon diritto nelle competenze della eventuale Bicamerale è quello delle riforme istituzionali. Se modificare la forma di governo e varare una Repubblica presidenziale è obiettivamente troppo ambizioso per una maggioranza così eterogenea (considerando anche che le profonde modifiche costituzionali realizzate dal centrodestra nel 2005 vennero poi bocciate da un referendum) le possibilità di mettere mano almeno al bicameralismo perfetto potrebbero essere maggiori. In quel caso la bozza da cui partire potrebbe essere quella già affrontata lo scorso anno dal Parlamento. In base a quel ddl a occuparsi delle materie per le quali c'è potestà legislativa esclusiva dello Stato sarebbe solo la Camera mentre al Senato toccherebbe ciò che rientra nella «potestà legislativa concorrente» tra Stato e Regioni. Palazzo Madama, insomma, diventerebbe sempre più Camera delle Regioni.
Il terzo punto che potrebbe essere inserito nel programma è quello dell'eternamente annunciato taglio del numero dei parlamentari. Se si recuperasse la vecchia bozza, gli attuali 945 parlamentari verrebbero ridotti a 762. I deputati diventerebbe 508, di cui 8 eletti all'estero. Diventerebbe eleggibile chi ha compiuto 21 anni. I senatori potrebbero diventare 254, di cui 4 eletti all'estero. Ogni Regione non potrà avere meno di 5 senatori. E a Palazzo Madama diventerebbero eleggibili gli over 35.
L'ultimo punto imprescindibile - e in realtà il più delicato - è quelle delle riforme economiche necessarie a restituire un minimo di vitalità al Sistema Italia. E proprio su questo fronte si appuntano le maggiori perplessità.
Gli interventi più urgenti sono quelli riguardanti il cuneo fiscale, il sostegno alle esportazioni, l'abolizione dell'Imu sulla prima casa, lo sblocco dei pagamenti alle imprese, la modifica della riforma Fornero per quanto riguarda il lungo intervallo tra un contratto e l'altro che tanti danni ha provocato sul fronte dell'occupazione giovanile. È di tutta evidenza, però, che per arrivare a un risultato condiviso ci vorrà la resistenza di Sisifo, la pazienza di Giobbe e la predisposizione alla fatica di Ercole. E forse non basteranno neppure quelle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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