
Un magistrato è per sempre, o quasi. Il governatore pugliese Michele Emiliano ce l'aveva quasi fatta a sfangarla, stavolta. Il tribunale di Bari lo ha condannato per diffamazione a un ex consigliere comunale di area leghista. Dovrà pagare una multa di 1.500 euro e a risarcire i danni per 25mila euro a Luigi Cipriani. Galeotte le frasi pronunciate il 13 settembre 2018 durante una trasmissione tv, quando per sminuire il comizio tenuto dall'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini davanti al circolo politico di Cipriani, Emiliano - magistrato antimafia in aspettativa - avrebbe insinuato un possibile legame tra Cipriani, il movimento politico e la mafia: «Sono circoli della birra, abbastanza equivoci nelle relazioni con la criminalità organizzata», la frase esatta.
All'ultima udienza del processo, il 29 maggio scorso, Emiliano si era ricordato di essere un magistrato e aveva chiesto di spostare il processo a Lecce invocando l'incompatibilità della sede giudiziaria in nome dell'articolo 11, di fatto facendolo saltare per prescrizione. Certo, sono sette anni che il processo è lì e i legali si potevano pure ricordare prima. Il giudice Mario Mastromatteo ieri ha risposto picche - la norma fa riferimento all'esercizio delle funzioni, Emiliano è in aspettativa dal 2004 - e ha condannato il governatore, che in cuor suo sogna il suo terzo mandato e che contesta la sentenza «per un sentiero giuridico incomprensibile». Qualcuno ricorda anche che in al processo contro l'ex grillino Mario Conca era stata la controparte a invocare una sede giudiziaria diversa e Emiliano si era opposto. Aver chiesto oggi lo spostamento è una ingenuità, un'imprudenza. Come quella che aveva addebitato a Salvini per la frequentazione del circolo. E come quella che lui stesso aveva fatto, andando a trovare la sorella del boss della famiglia Capriati con il suo erede a sindaco di Bari, Antonio Decaro, vantandosene pure in tv e in un comizio. Per la Dda il Comune è infiltrato nella società di trasporti «diventata l'ufficio di collocamento dei boss» ma non è stato sciolto, chissà perché.
Dalla richiesta di spostamento a Lecce, come scrive Annarita Di Giorgio sul Foglio, apprendiamo che Emiliano è stato anche «soggetto a provvedimenti disciplinari» e che «partecipa alle votazioni del Csm». Alla faccia dell'incompatibilità con la sua carriera politica.
Si è anche candidato a guidare il Pd ma non è iscritto, perché tecnicamente è vietato anche partecipare attivamente alla vita di partito, come gli ha ricordato la Consulta. La verità è che per Emiliano la toga è una seconda pelle che si tira fuori solo quando non si vede bene.