Nel Pd ci sono ancora le anime belle. Quelli, in buona sostanza, che tentano ancora di abbassare il dito puntato sulla Luna per farne arrivare la punta all'altezza delle cose terrene e concrete. Ieri, ad esempio, in un teatro romano affollato, Pippo Civati e Laura Puppato hanno provato a indicare soluzioni alternative e a rianimare il côté movimentista del Pd. E sempre ieri il senatore Vannino Chiti firmava un editoriale di Europa dove ammoniva i compagni di partito sulla disattenzione crescente per i temi concreti, ossessionati, come sembrano, per la questione della segreteria nazionale e della differenza tra premiership e leadership. «Il Pd - lamenta Chiti - è stato più impegnato a discutere di candidati e regole che di contenuti. La soddisfazione per i risultati delle amministrative non deve farci dimenticare che abbiamo vinto con consensi spesso minori di quelli con cui cinque anni fa si era perso». Segnali piccoli, si dirà. E per coloro che affollano le stanze di largo del Nazareno, nient'altro che pittoreschi distinguo che rientrano perfettamente nella logica di un grande partito di massa. Ma la partita più importante resta quella della segreteria e delle eventuali regole da modificare o confermare per le primarie. Matteo Renzi lo ha inteso benissimo. A Roma non si parla altro che di lui e quindi lancia ultimatum per far capire da un lato che non si farà fregare una seconda volta («come un fesso») partecipando a una gara le cui regole vengono cambiate in corsa, dall'altro che la questione della segreteria non può essere separata da quella della premiership.
Insomma, dicono i bene informati, il sindaco di Firenze non gradirebbe fare il segretario nazionale a lungo termine. Per qualche mese sì. Giusto il tempo di far cadere il governo Letta e poi ripresentarsi agli elettori nella doppia veste di segretario e di naturale candidato a Palazzo Chigi. Proprio quello che Epifani vuole evitare tanto che ancora ieri sentenziava seccato: «Perché inventare contrapposizioni quando non ci sono? Renzi è una risorsa. Lui stesso ha sempre detto che non intende far nulla contro Letta e il suo governo».
L'ironia è che anche i suoi oppositori iniziano a pensare che non ci siano alternative a questo sogno di gloria renziano. Il sindaco di Firenze ha un «potenziale carisma» capace di travolgere tutto. Restano solo i bersaniani di stretta osservanza a tenere la testa nella sabbia pur di non riconoscerlo. Anche D'Alema è uscito allo scoperto con una battuta (la molto dalemiana «i segretari che ho sostenuto hanno sempre vinto ma non sempre sono quelli giusti») che ridimensiona notevolmente l'asse Epifani-Bersani. E anche il recente endorsement nei confronti del sindaco fiorentino mostra che non è più in questione la «carta» Renzi. Semmai, almeno secondo D'Alema, quale ruolo affidargli.
Su un'altra cosa, poi, sono tutti d'accordo a largo del Nazareno: la regola che in buona sostanza accomuna leadership e aspirante premier non si tocca. Semmai si potrebbe modificare il modo di fare le primarie.
Per evitare l'«effetto domino», si potrebbe sganciare quella del segretario nazionale da quelle dei segretari regionali in modo da non permettere (come è accaduto nel 2009) che il vincente - a livello nazionale - possa controllare la quasi totalità dei segretari regionali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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