Roma«Non si sono voluti assumere la responsabilità di far cadere il governo», dice Andrea Manciulli, parlamentare toscano del Pd.
La prima reazione alla lettura della sentenza di Cassazione, nelle file del partito di Enrico Letta, è di sollievo (almeno dell'ala governista): «Non dovremo votare la decadenza di Berlusconi da parlamentare, questo è quel che conta nell'immediato». Ma il sollievo non dura molto, e si profila all'orizzonte, rimbalzando dalle tv attraverso le invettive dei grillini («Berlusconi è morto», annuncia il comico via web) e di Sel che intima «sciogliete l'alleanza col Pdl», della sinistra giustizialista e dei malpancisti interni («Il Pd valuti una exit strategy verso le elezioni», invita Pippo Civati), l'enorme problema tutto politico con cui il centrosinistra dovrà ora fare i conti: «Che diciamo a quei nostri elettori che ora ci insulteranno perché stiamo al governo con un condannato definitivo?», si chiede smarrita una parlamentare meridionale. È anche per mettere subito un argine alla valanga del malessere interno, che minaccia di tracimare su giornali e tv, che - si spiega al Nazareno - il segretario Guglielmo Epifani decide di fare subito un'uscita «giustizialista», mirata a tener buoni i suoi: in piedi, davanti alle telecamere, affiancato dal bersaniano Zoggia, legge il pronunciamento: «Per quanto ci riguarda, questa sentenza va non solo rispettata, ma va eseguita e resa applicabile. E nel caso in cui ci fosse bisogno, a questo si uniformeranno i nostri gruppi parlamentari». Per il Pdl suona come una dichiarazione di guerra: «È una provocazione», dicono. L'aria attorno al governo si fa tesa.
«Se non si deve votare la decadenza di Berlusconi, non c'è la scintilla che può rompere subito il patto di maggioranza», dice Andrea Martella. Ma col passare dei minuti la situazione si confonde. Dario Stefano, senatore di Sel e presidente della giunta per le elezioni e le immunità, annuncia che Berlusconi rischia comunque di decadere a breve dal mandato di senatore, perché «secondo la legge sull'Anticorruzione approvata nel 2012, se interviene una condanna definitiva superiore ai due anni, scatta infatti la procedura per l'incandidabilità», e dunque appena notificata la sentenza la giunta si dovrà riunire. Panico nelle file dei governisti democrat, che vedono avvicinarsi il dies irae. Un dirigente molto vicino ad Enrico Letta spiega che «a Palazzo Chigi stanno già prendendo in considerazione che a breve si debba decidere sulla «sopravvenuta ineleggibilità». E a questo punto tutto dipende da Berlusconi: se lui vuole rompere e scatena i suoi, il governo va a farsi friggere e si va a votare a ottobre. Ma dubitiamo che siano queste le sue intenzioni». Anzi, spiega il lettiano, «c'è la concreta speranza che sia lo stesso Cavaliere a fare un beau geste per salvare il governo, invitando i suoi a votare insieme al Pd per la propria decadenza. Secondo la linea Coppi-Napolitano, che conviene anche a lui seguire viste le tante partite giudiziarie aperte che ha», suggerisce. A questo si aggrappano le speranze di chi, a Palazzo Chigi e nel Pd, vuole tenere in piedi le larghe intese. Dario Franceschini, ministro dei rapporti col Parlamento, è preoccupato per l'ingorgo di provvedimenti del governo che si affollano ora in Parlamento (dal finanziamento pubblico alla Svuota-carceri al Decreto del Fare) e su nessuno dei quali c'è accordo dentro la maggioranza: «Dovrete star qui a votare tutto agosto», dice ai parlamentari Pd. Accelerare attraverso voti di fiducia? «In questo momento non si può», spiega. «Ogni fiducia rischia di essere una bomba sotto il governo Letta», spiega il capogruppo di Sel Migliore. Da Palazzo Chigi si guarda con allarme anche alle mosse renziane. Il sindaco di Firenze per ora tace.
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