Il telecomando schiacciato dai vescovi non ha funzionato. Questa volta, anche più delle precedenti, il voto cattolico si è spalmato su partiti vecchi e nuovi. Destra, sinistra, probabilmente i grillini. Meno, molto meno, sul centro che invece aveva ricevuto - salvo puntuale smentita successiva - l'endorsement del leader della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco. La lista Monti galleggia appena, pur infarcita di nomi stimati dalle gerarchie, sulla soglia della sopravvivenza, al 10 per cento. E l'Udc, ultima pallida erede di quella gloriosa macchina da guerra che fu la Dc è solo un puntino. Piccolo piccolo. Le domande sorgono a grappolo: qualcosa non funziona più nella catena di comando che dalla Chiesa va verso i fedeli? O, più banalmente, si ragiona da laici quando si va nel seggio? Tema che confina con un'altra questione, davvero decisiva: il possibile dissolvimento del popolo cattolico o, comunque, la sua crescente irrilevanza.
«È chiaro - è la premessa del professor Mauro Magatti, ordinario di sociologia della globalizzazione alla Cattolica - che tutti i tentativi del clero di condizionare in un modo o nell'altro il voto dei fedeli ormai vanno a vuoto. I tempi della Dc sono tramontati e non torneranno». Ciascuno barra il simbolo che più gli piace, in base alle proprie convinzioni e i vari esperimenti per riproporre il passato si rivelano ogni volta velleitari: artifici fuori dal tempo. «Però - prosegue Magatti - è altrettanto vero che a furia di spalmarsi con grande disinvoltura di qua e di là i cattolici rischiano di non dare più sapore alla realtà che incontrano».
Non sono più il sale evangelico. «E questo è un pericolo, perché la radice del Paese è e resta cattolica e se la radice è debole ne risente tutta la società e l'Italia s'impoverisce».
Forse, il punto non è, non può più essere il provare a costruire un contenitore su misura. Un passo indietro, se misurato col pallottoliere dell'appartenenza partitica, un passo in avanti nella riscoperta dei valori cosiddetti non negoziabili, di certe istanze sociali e di un'attenzione alla realtà che questo mondo porta nel proprio zaino. Il problema è riempire quello zaino di contenuti, di proposte, di risposte concrete ai bisogni della gente. «I cattolici tendono per natura ad un giudizio comune - spiega il vescovo di Ferrara Luigi Negri - e dal giudizio comune dovrebbe nascere il tentativo di un'operatività comune. Il problema è l'educazione al giudizio».
Insomma, se ci si guarda allo specchio si rischia di scorgere un profilo sbiadito e incerto E solo un identikit forte, motivato e consapevole, può pesare anche sulla scheda... L'anno scorso, con la sospensione del governo tecnico e le convulsioni della seconda repubblica, si era aperta una finestra e il variopinto arcipelago dei movimenti e delle associazioni si è dato appuntamento per dialogare ed elaborare proposte.
«Gli incontri di Todi, Todi1 e Todi2 - riprende Magatti -sono stati un'opportunità per tornare a fermentare la società, ma poi, con l'incombere delle elezioni, questo sentiero è stato chiuso». E però la scommessa resta attuale più che mai: incidere nella contesa della politica senza farne per forza una querelle di partito.
Intanto, fra ripensamenti e crisi d'identità, la frammentazione va avanti. «Una volta si votava Dc - è il parere di Aldo Bonomi, sociologo - e c'era chi esprimeva quella preferenza perché, per esempio, apparteneva alla Coldiretti o ad altre organizzazioni di categoria.
Poi c'è stata la diaspora, quel blocco sociale è andato verso la Lega e Forza Italia. E i cattolici si sono spaccati: una parte, comprendente l'area di Cl, verso Berlusconi, l'altra, che includeva l'Azione Cattolica, in direzione della Margherita e del centrosinistra. Mi pare che queste elezioni abbiano certificato un ulteriore passaggio: la diaspora della diaspora. Ci si è divisi anche dentro movimenti che prima marciavano uniti».
Ma attenzione: questo non prefigura la fine di una lunga storia.
Si mobiliteranno, anche lontano dalle elezioni. Più fuori che dentro i seggi.
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