I franchi tiratori oliano i fucili per complicare la vita a Matteo

Dalla commissione alla Camera i renziani sono in minoranza. Il precedente del voto su Colle, quando i 101 silurarono Prodi. I bersaniani sono agguerriti

I franchi tiratori oliano i fucili per complicare la vita a Matteo

Hanno già avvertito Matteo Renzi. Apertamente. E considerato che nel Pd i franchi tiratori ci sono pure quando il partito sembra filare d'amore e d'accordo - l'elezione del presidente della Repubblica ad aprile dello scorso anno, o meglio i siluramenti a catena di Franco Marini e Romano Prodi, docunt - figuriamoci quello che potrebbe accadere adesso, che sulla legge elettorale il dissenso è già stato annunciato.

«Non voteremo contro, non faremo imboscate», ha assicurato due giorni fa a Omnibus l'ormai ex presidente del partito Gianni Cuperlo. Una excusatio non petita che sa tanto di giustificazione preventiva a quello che in Aula, magari col voto segreto, potrebbe avvenire. Basterebbe poco, pochissimo per mandare a monte l'accordo tra il segretario e il leader di Forza Italia: uno spostamento verso il pollice verso al neo segretario di una quarantina di franchi tiratori sui 293 deputati che i democrat contano alla Camera. Ancora più difficile la situazione che Renzi si trova a dover fronteggiare in Commissioni Affari costituzionali, la «cucina» in cui si sta elaborando il testo di riforma che sta per approdare alla Camera. In commissione il Pd ha 21 deputati. E tra loro ci sono lo stesso Pier Luigi Bersani, ormai avviato verso la guarigione e uscito dall'ospedale, ma anche Barbara Pollastrini, Andrea Giorgis, Maria Gullo, Enzo Lattuca o Giuseppe Lauricella, tutti esponenti di sicura fede cuperliana. E poi Alfredo D'Attorre, il promotore degli emendamenti che, in Commissione, rischiano di mandare al macero i piani del segretario. «Come Renzi è riuscito a convincere Berlusconi sul doppio turno, noi pensiamo che se ci convinciamo tutti insieme e Renzi si convince arriveremo al risultato che ci chiedono gli elettori delle primarie», è il motto dell'esponente bersaniano. E a Renzi, che ha minacciato il «tutti a casa» nel caso in cui i franchi tiratori mandino in frantumi l'accordo con Fi, D'Attorre manda a dire, senza complimenti: «Agitare la minaccia di delle elezioni con il proporzionale puro non conviene a nessuno, nemmeno a lui...».

Ancora più esplicito il messaggio della presidente della commissione Antimafia ed ex presidente del Pd Rosy Bindi. Che quasi materna, nonostante la rottamazione (Renzi ha detto no a una sua candidatura alle Europee di maggio) qualche giorno fa ha avvertito Matteo: «In commissione insieme agli altri partiti abbiamo la maggioranza, se presenteremo degli emendamenti il segretario li deve accettare. Se mezzo gruppo parlamentare dovesse firmare emendamenti per cambiare alcuni punti del testo – ha aggiunto la Bindi – dovrebbe essere il segretario a prenderne atto e accettarli. Io non voglio spaccare il partito, ma nemmeno lui lo deve fare». Più chiaro di così...
I numeri, in effetti, non aiutano Renzi in commissione Affari istituzionali. Sì, su 21 deputati lui può contare sulla fedelissima Maria Elena Boschi, come anche su Matteo Richetti, Luigi Famiglietti, Daniela Gasperini. Magari lettiani e franceschininani possono anche schierarsi dalla parte del segretario. Ma lo zoccolo duro sono i bersaniani, tredici a otto per Cuperlo, ha fatto i conti qualche giorno fa IlSole24Ore. Che uniti poi agli otto esponenti del M5S, a Ignazio La Russa di Fratelli d'Italia, ai due deputati della Lega e ai tre di Sel, sulle preferenze potrebbero fare la differenza.

La partita è aperta. I franchi tiratori stanno già oliando i fucili, pronti a sparare nel caso in cui non si trovi una soluzione condivisa. E il pensiero torna alla scorsa primavera, al voto per il Colle. Prima puntata il 18 aprile, il siluramento di Franco Marini. La replica il giorno dopo, il 19 aprile. Il candidato, designato per acclamazione per prendere il posto di Giorgio Napolitano al Quirinale, era Romano Prodi.

Di franchi tiratori il Pd nelle sue file ne trovò ben 101. Per affossare l'Italicum, e con esso Renzi, ai dissidenti Pd ne bastano molti di meno. Infatti, dopo l'aut aut sul prendere o lasciare, Renzi ora frena: modifiche sì, possibili, ma solo con l'ok di tutti.

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