La farsa delle quote rosa manda al tappeto il Pd

Respinti con perdite tutti e tre gli emendamenti sulla presenza femminile in lista Boccia: "Mancano cento voti nostri". E le donne dem lasciano l'Aula per protesta

La farsa delle quote rosa manda al tappeto il Pd

Roma - Respinte con perdite. La battaglia di genere per introdurre le quote rosa nella nuova legge elettorale finisce - nel segreto dell'urna - in una débâcle. E ora l'Italicum è a rischio: alle donne Pd furibonde che ieri sera hanno abbandonato l'aula per protesta e si sono riunite in assemblea si uniscono (trattenendo a stento il sorriso) tutti i nemici del patto Renzi-Berlusconi e tutti gli avversari del premier nelle sue stesse file. «Dopo questa botta - dice il bersaniano Nico Stumpo - rischiano di passare gli emendamenti che reintroducono le preferenze di genere». Una modifica che farebbe saltare l'accordo su cui si regge la riforma. Dalle file del Pd sono mancate molte decine di voti sulle quote rosa: tra i 40 calcolati da Emanuele Fiano e «il centinaio» evocato da Francesco Boccia. Rosy Bindi punta il dito contro Renzi: «Non può far finta di niente, sappia che è su cose come queste che finisce la legge elettorale. O siamo ancora ai 101?». Renzi avverte il pericolo, e interviene via Twitter: «Il Pd rispetta il voto del Parlamento sulla parità di genere, ma anche l'impegno della direzione Pd: nelle liste l'alternanza sarà assicurata». Ma il suo ex sfidante Gianni Cuperlo avvisa: «Adesso la legge elettorale è più fragile nel suo impianto, al Senato si dovranno discutere miglioramenti».
Con 335 no e 227 sì viene bocciato l'emendamento che avrebbe imposto l'alternanza uomo-donna nelle liste; con un margine ancora maggiore (344 no e 214 sì) quello che voleva la divisione fifty-fifty dei capolista tra maschi e femmine. E nel gran finale, con sorpresa di tutti, viene respinto anche l'emendamento-mediazione, quello che prevedeva un rapporto 60 a 40 per i capolista. Una Waterloo. Alla quale hanno contribuito anche molti parlamentari del Pd. Il bersaniano Dario Ginefra denuncia via Twitter: «Il voto di nostri numerosi colleghi è stato contrario ai principi di parità dello statuto Pd». Di certo, dietro la bandiera della parità di genere si era raccolto non solo il trasversale movimento delle parlamentari di tutti i gruppi, ma anche il variegato fronte di coloro che vedevano nelle quote rosa il grimaldello per scardinare il patto Renzi-Berlusconi sull'Italicum. Non a caso sono stati i bersaniani doc (Epifani, Stumpo, D'Attorre) ad intervenire in aula dicendo che, dopo la bocciatura della parità, la legge va «profondamente cambiata», e appellandosi ai grillini (che ieri hanno votato contro le quote, ma che ora annunciano il sì alle preferenze) per bloccare l'Italicum. Con una maggioranza opposta a quella costruita da Renzi sulle riforme.
Ieri mattina la situazione era ancora bloccata davanti al «no» di Forza Italia alle quote e all'indicazione netta arrivata da Matteo Renzi: nessuna modifica senza l'accordo dei contraenti del patto. Stallo in aula, sospensione della seduta, trattative ad oltranza. Al voto si è arrivati a tarda sera, dopo una lunghissima serie di dichiarazioni di voto accorate per perorare la causa delle quote. I grandi partiti avevano intanto raggiunto un'intesa metodologica: governo e gruppi parlamentari si sarebbero rimessi all'aula, senza prendere posizione pro o contro ma affidandosi alla «libertà di coscienza».

Nel frattempo Fi ha fatto chiedere ad un congruo numero di suoi deputati lo scrutinio segreto. Con il retropensiero che, nel buio dell'urna, la carica trasversale dei maschi avrebbe difeso la poltrona. E così è andata. Oggi si va al voto finale.

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