Politica

È ora di fermare il vento giustizialista

Un petulante giudice costituziona­le, non si limita a battere quattrini nei tri­bunali amministrativi, ma parla pa­recchio anche al telefono

È ora di fermare il vento giustizialista

Un petulante giudice costituzionale, che ci ha messo tutti nei guai ratificando quello che a molti italiani sembra uno sgorbio giudiziario ai danni di Berlusconi, una giustizia a sfondo politico, dunque una accanita ingiustizia, non si limita a battere quattrini nei tribunali amministrativi (che eleganza), ai danni di editori e giornalisti che hanno criticato la sua attività giurisdizionale, ma parla parecchio anche al telefono. Parla con avvocati sotto indagine per mafia, con sindaci di comuni sciolti per mafia, con altre figure di presunti innocenti sempre utili per negoziare, eventualmente, qualche favore. Era già venuto fuori il brodo di coltura di quella fatale sentenza, la sentenza Esposito. Non una compassata amministrazione, fiat iustitia pereat mundus, della suprema verifica cassazionista, o non solo quello; c'era anche la mania delle interviste assassine, delle smentite che non smentiscono, delle chiacchiere di trattoria in cui si dà fondo alle proprie antipatie personali e politiche verso personalità che poi verranno giudicate in assetto «feriale», inimicizie che scappano da ogni parte sotto la toga e implicano l'attenzione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, così parco nelle sue iniziative dentro la corporazione d'appartenenza. La chiamo sempre «la sentenza Esposito», perché definisce meglio chi l'ha letta in aula il primo agosto scorso di quanto non definisca il primo contribuente italiano additato come frodatore fiscale per il piacere voluttuoso dei suoi molti nemici, al termine di un processo che aveva archiviato la posizione dell'amministratore delegato firmatario dei bilanci della sua azienda e dannato l'ex presidente del Consiglio. Bisogna rendersi conto del fatto che il certosino lavoro dei milanesi ha sempre un riscontro, civilmente e politicamente ormai abituale e non più sorprendente, nell'attivismo di procure e personale giudiziario del Sud, gente nata e cresciuta nel mondo del migliore diritto penale, che ha però scelto l'attacco giudiziario alla politica, non importa se con piena consapevolezza o meno, come sostituto della terzietà giudicante di un tempo. Il governo Prodi si volatilizzò per l'iniziativa di un pm di Santa Maria Capua Vetere, la messa in mora di tutta la famiglia umana e politica del ministro della Giustizia del fondatore dell'Ulivo, Clemente Mastella.

Il giudice Esposito è diventato una delle bandiere esposte al vento giustizialista dei giornali manettari e dei loro profeti, che lo vedono al centro di una congiura della destra politica e dei difensori del pregiudicato Berlusconi. Chissà che avranno ora da dire delle chiacchiere telefoniche private, così sapide e intriganti per contenuto e per interlocutori, del loro recente eroe. Forse si appelleranno, anche giustamente sotto il profilo del metodo, alla scandalosa divulgazione «mascariante» delle conversazioni intercettate o sottolineeranno che non c'è traccia in sé di reato, e che si tratta di indagati, non di condannati. Giusto. Ma non nella loro bocca sempre sparlante, quando si tratti del nemico, non nel loro orecchio origliatore, sempre attento ai nastri comunque divulgati che incastrano chi prende milioni di voti sgraditi alla sinistra e ai forcaioli.

Siamo un Paese inguaribilmente fazioso, e per quanto il loro esordio sia così così, specie quello televisivo delle ragazze della segreteria Renzi, bisogna solo auspicare che un rinnovamento anche anagrafico, a sinistra come a destra, mandi in pensione definitivamente, e senza liquidazione, lo spirito diffamatorio che ha impregnato di sé gli ultimi vent'anni almeno della nostra vita pubblica, se non di più. A meno che. A meno che non si trovino anche i dovuti modi per mettere in punizione, sempre davanti a una lavagna moralistico-giudiziaria, anche i nuovi avanzanti protagonisti del tentativo di risistemare il caos ferino della Repubblica. Vorrei sperare che i giovinotti del momento siano esenti da quelle responsabilità di gestione nelle quali sempre si annida la possibilità dell'intervento rigeneratore delle manette. Pare che un giornalista dalla triste malignità abbia detto a Renzi, dietro le quinte di un talk, che per adesso lui risulta «pulito» ai segugi della sua redazione: ecco, è questo l'uso da mattinale politico-giudiziario di una redazione in caccia preventiva di reato, molto oltre l'automatismo dell'azione giornalistica penale, che almeno richiederebbe una notitia criminis. Bisogna spicciarsi a levare di mezzo la giustizia ingiusta, è un problema di chiunque si affacci con qualche vera ambizione riformatrice alla scena italiana in questo tempo. Il dottore Esposito è, per ciò che appare del suo backstage personale, il paradigma assoluto di un comportamento proverbiale: il bove che dice cornuto all'asino.

Bisogna prosciugare l'acqua non limpidissima in cui nuotano certi pesci, se si vogliano davvero risanare la politica e la Repubblica.

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