Più misterioso del mostro di Loch Ness, più inafferrabile di un neutrino, una leggenda metropolitana come i coccodrilli nei bassifondi di New York. Anni che cercano di mettergli le mani addosso, anni di ricerche snervanti, anni di frustrazioni profonde. Devi essere più sensibile, devi stare più attento, devi crederci di più, puoi fare di meglio, controlla meglio l'angolazione, non esagerare con la spinta, disegna meglio il movimento, passa al 4-3-3, prova con l'albero di Natale, ma perchè tutti questi preliminari se per andare in Champions basta arrivare secondi?... Niente da fare: soddisfazione zero, felicità a momenti e futuro incerto.
Il famigerato punto G, il bengodi di ogni donna, la madre di tutti i piaceri, l'ombelico del mondo, non si trovava mai. Nascosto nelle grotte come Bin Laden a Tora Bora, forse sepolto per sempre in qualche fantasia erotica maschile. E invece lo hanno beccato i Navy Seals dell’Institute of Gynecology di St. Petersburg in Florida, a cui evidentemente non piace stare con le mani in mano. Catturato dopo una serie di accurati pedinamenti tra l’apparato genitale e urinario dove forma un angolo di 35 gradi con la parete laterale dell’uretra. Incastrato dalle numerose impronte digitali il signor G ha dovuto dichiarare per la prima volta le proprie generalità ai gendarmi della scienza: lunghezza 8,1 millimetri, larghezza da 3,6 a 1,5 millimetri, altezza 0,4 millimetri. Una volta estratto il tessuto del punto G è estendibile fino a oltre 30 millimetri e somiglia al tessuto erettile, cioè il tessuto cavernoso, dei genitali maschili e del clitoride. Ernst Grafenberg, il ginecologo tedesco che per primo si avventurò nella faticosa esplorazione, situò il Punto Grafenberg, o punto-G per l’appunto, sulla parete frontale della vagina a un’altezza di circa 2 centimetri e mezzo. Il calcolo però, è bene dirlo, venne effettuato a spanne.
Ricercatori inglesi del King’s College di Londra avevano per anni negato l’esistenza del latitante, definendolo solo un mito creato da riviste e terapisti sessuali. Ma qualche anno fa Emmanuele Jannini docente di Sessuologia Medica dell’Università degli Studi de L’Aquila, aveva avvistato la primula rossa su un campione di donne: nove di loro avevano dichiarato di avere orgasmi vaginali, le altre undici, cioè quelle che di solito escono con noi, invece no. Lo aveva beccato appeso come Messner sulla parete che separa la cavità dell'uretra da quella della vagina, solo una parte del campione però presentava questa parete più ispessita, con una particolare concentrazione di ghiandole, terminazioni nervose e corpi cavernosi, praticamente materiale infiammabile, pericoloso al tatto. La novità della ricerca era: mica tutte ce l'hanno. Spiegava Jannini: «Come diceva Freud, l'anatomia è il destino, avere o meno il punto G è una condizione congenita». Praticamente un'anomalia.
Ma ora lo studio di Ostrzenski concede pari opportunità alle donne e, soprattutto, futuribili applicazioni commerciali alla scoperta. Già, ma chi è lo spione che ha consentito la cattura dell’inafferrabile? Chi lo ha consegnato alla luce dopo tanta morbida oscurità? La nonna: un’anonima donatrice di 83 anni suonati, deceduta, per giunta, da tempo.
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