Politica

Fini vuole un vertice per stanare i centristi

Il leader di An pronto ad accettare la nuova legge elettorale solo se c’è l’intesa su tutto

Gianni Pennacchi

da Roma

Ha ragione Antonio Leone quando dice «non ne so niente e non ne voglio sapere, perché tanto non ci metteremo mai d’accordo», o Maurizio Bertucci che invece è entusiasta, «ormai è fatta» assicura, s’è trovata la quadratura del cerchio che mette in pace il centrodestra e s’infila «come un cuneo» nel centrosinistra? E se davvero dovesse cedere il fronte del rifiuto prodiano, con Clemente Mastella e i verdi che dicono sì alla riforma, come voteranno poi nel buio dell’urna i deputati forzisti di Sicilia, Lombardia, Veneto e Piemonte, sapendo che col ritorno al proporzionale metà di loro è destinato a non tornare più in Parlamento?
Di riforma della legge elettorale stiamo ovviamente parlando, perché ieri s’è improvvisamente acceso il semaforo verde nella Cdl, avendo i «tecnici» trovato una soluzione che sembra accontentare tutti. Pare che lo stesso Gianfranco Fini abbia ritirato il suo no, da New York al telefono con Silvio Berlusconi, trasformandolo in un quasi sì ieri a pranzo col premier e con Gianni Letta, l’artefice del pacco sorpresa. Fini ha persino telefonato a Pier Ferdinando Casini, e i due sembrano avere ritrovato l’antica cordialità. Per dirla tutta, a Fini la «quadratura del cerchio» va bene, quel che non lo convince è il contesto politico. Così ha chiesto formalmente a Berlusconi di convocare un vertice dei leader di maggioranza per verificare che «tutti si assumano definitivamente le loro responsabilità» e si garantisca «l’unità sostanziale» su tutti i temi ancora controversi. Li elenca pure, il leader di An: «Su legge elettorale, riforma costituzionale, legge finanziaria e premiership, la maggioranza è chiamata a trovare un accordo complessivo in assenza del quale la confusione è destinata ad aumentare a esclusivo vantaggio del centrosinistra». Insomma, sì alla riforma elettorale voluta dall’Udc, se si chiude l’intero contenzioso aperto da Casini e Follini.
A dar l’annuncio che l’uovo di Colombo era stato infine scodellato, è stato in mattinata Fabrizio Cicchitto. Donato Bruno, presidente della prima commissione e relatore anche della riforma elettorale, confermava di star mettendo a punto l’ennesimo emendamento, sorridendo: «Sì, sono ancora il relatore, almeno fino a quando non mi cacciano». La sostanza della proposta? Ricalca la legge elettorale introdotta dal centrosinistra nella Regione Toscana. Eccola:
Ritorno al proporzionale. Le circoscrizioni elettorali restano quelle di adesso, Lazio uno e due, Lombardia uno due e tre, eccetera. Ma tutti i seggi vengono assegnati proporzionalmente su base circoscrizionale.
Premio di maggioranza. Per la coalizione vincente, sino a garantirle 340 deputati e 174 senatori. Se i vincitori raggiungono o superano da soli quella base di garanzia e stabilità, il premio non scatta. Per il premio di maggioranza, vengono conteggiati tutti i voti presi dalla coalizione, anche quelli dei partiti aggregati che non abbiano diritto a seggi per via dello sbarramento.
Soglia di sbarramento. Per accontentare tutti, ce ne sono tre. Una soglia minima per le coalizioni, che devono superare il 10%. Una per i partiti aggregati, che devono superare il 2%. E una per i partiti che decidono di correre da soli, che devono rastrellare un minimo del 4%.
Niente preferenze. Le liste sono bloccate, l’elettore può scegliere solo il partito, e risultano eletti i candidati in ordine di lista (dunque prescelti) secondo i voti complessivi raccolti dal partito in quella circoscrizione.
Reazioni contrastanti, nella stessa Cdl. A parte Follini ovviamente, che seppur Carlo Giovanardi assicuri essere «la soluzione saggia, penso che sarà accettata anche da Follini», continua a dire «non so di un accordo ma non voglio pasticci». Accanto agli entusiasti in Forza Italia ci sono gli scettici. Non solo Leone che come Fini non si fida pienamente dell’Udc, ma anche i parlamentari già mugugnanti di quelle regioni che elencavamo all’inizio, là dove cioè col 55% dei voti e il sistema elettorale attuale, la Cdl fa il pieno dei seggi. Mentre col nuovo sistema, con gli stessi voti si perde il 45% dei seggi. E poiché le riforme elettorali si votano a scrutinio segreto, chi li convincerà a buttar via tutto il lavoro svolto sin qui per zappettare il proprio collegio uninominale, rinunciare al quasi certo o anche all’incerto per la sicurezza di vedere dimezzati gli scranni a disposizione?
Non che all’opposizione vada meglio, pur se si mostrano compatti a dir no anche a questa proposta, e a Montecitorio continuano l’ostruzionismo per ritardar l’arrivo della riforma elettorale. «Proposta surreale e irricevibile», ha sentenziato la Quercia. «Faremo le barricate», promette per la Margherita Dario Franceschini rimproverando a Berlusconi, che «pur fra tanti difetti e colpe» ha il merito di «avere lavorato per costruire il bipolarismo», tanto e improvviso cedimento ai proporzionalisti. Anche i piccoli del centrosinistra, dicono niet. Per ora, però. Perché da Rifondazione Franco Giordano riconosce che «la proposta è buona» pur se «fuori tempo». Il verde Paolo Cento dice che «ne riparleremo nella prossima legislatura», ma gli brillano gli occhi alla possibilità di non doversi imparentare nuovamente coi comunisti di Cossutta. E Clemente Mastella è negativo sì, ma costruttivo: «Non va bene perché non ci sono le preferenze, e i miei corrono solo se devono raccogliere la preferenza. Ma è un problema anche per l’Udc, e almeno in Campania anche per la Margherita».

Capita l’antifona? Metteteci pure il voto di preferenza, e forse l’impossibile si realizzerà.

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