La finta di Fassina per salvare il posto: "Quella legge è mia"

Letta ha dovuto dare assicurazioni al viceministro che minaccia di dimettersi

Il premier Enrico Letta con il viceministro dell'Economia Stefano Fassina
Il premier Enrico Letta con il viceministro dell'Economia Stefano Fassina

Roma - «L'incontro è stato positivo, ora avanti pancia a terra». Enrico Letta ha visto ieri, a sorpresa (aveva fatto trapelare che il faccia a faccia sarebbe stato domani) il viceministro dell'Economia Stefano Fassina, che aveva minacciato le dimissioni per non essere stato «coinvolto» nella stesura della legge di Stabilità.
Che le dimissioni sarebbero diventate vere non ci credeva nessuno, nel governo o nel Pd. Resta da capire che assicurazione abbia ottenuto Fassina dal premier, a proposito di quei cambiamenti alla legge che il viceministro - per conto del Pd e della Cgil - cercherà di ottenere. Una prima concessione si evince dalla velina diffusa ieri sera, dopo l'incontro, da Palazzo Chigi, secondo la quale i due «hanno esaminato insieme il complesso della situazione e valutato come gestire ora sia il passaggio della legge di stabilità, che il vice ministro seguirà in Parlamento, sia il confronto con le parti sociali per migliorarla». Fassina dunque sarà il rappresentante del governo alle Camere durante l'iter del provvedimento, e parteciperà al tavolo della trattativa con i sindacati.
Mentre Letta è «pancia a terra» con Fassina, nel Pd entra nel vivo la corsa congressuale. Gianni Cuperlo attacca Renzi sul doppio incarico (non si può fare sia il sindaco che il segretario), ma gli riconosce «l'ambizione legittima di guidare il Paese, e quando sarà il tempo, probabilmente, lo farà». Pippo Civati invece avverte: «Siamo ingenui ma non cretini». E lancia l'attacco sulla spinosa questione del tesseramento Pd, che in questa fase pre-congressuale sta creando fenomeni strani in giro per l'Italia: «Possiamo verificare il numero delle tessere rilasciate in questi ultimi giorni, e siamo passati dalla sensazione che nessuno voleva iscriversi più, al boom di richieste. Mi appello a tutti quanti perché si rispettino le regole, perché queste denunce sono un dispiacere».
Civati parla dalla Sicilia, tappa della sua campagna e Regione dove il Pd, benché ridotto ai minimi termini, è inquinato da gestioni clientelari e claniche. Racconta di «pacchetti di migliaia di tessere in bianco distribuiti a Catania ad alcuni dirigenti», o anche di «sindacati che distribuiscono gratuitamente le tessere». Ma l'allarme vale, in modo diverso, per tutto il Paese: la fase dei congressi provinciali, ai quali votano appunto solo gli iscritti ma che servono a determinare il peso dei capibastone locali, è l'occasione per un'orgia di scorribande di correnti e clan, che però rischiano di avere un peso sul risultato finale. Non a caso ieri in Puglia l'assemblea dei comitati Renzi ha reso noto con un comunicato ufficiale la propria «preoccupazione per come si sta svolgendo la fase precongressuale del Pd pugliese», e denuncia una «corsa al tesseramento che è una pericolosa vecchia pratica di “occupazione del partito” che danneggia il Pd».

E in Campania, altro fertile terreno di cultura del malaffare politico, 60 dirigenti e militanti Pd disertano pubblicamente il congresso provinciale, denunciando «la militarizzazione delle correnti e la progressiva trasformazione del pluralismo in autoreferenzialità e autoconservazione».

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