La Lega si sgancia da Formigoni: farà le primarie

Il governatore lombardo: "Sarò in campo per battermi come un leone". Maroni lancia la competizione interna, in corsa Fontana e Salvini

Milano - In Lombardia «si va al voto», ha detto ieri il governatore Roberto Formigoni. E questo ormai già si sapeva. «Ma io sarò certamente in campo» è l'annuncio che ha scosso la giornata politica. «E mi batterò come un leone, chi mi conosce sa cosa voglio dire», la dichiarazione di guerra a nemici e soprattutto a (ex) amici. La posizione? «Da determinare». Perché le poche ore concesse alla Lega per ripensarci, è ormai chiaro che sono destinate a passare senza alcuna novità. Oggi scade l'ultimatum. «Noi non possiamo che ripetere quello che abbiamo già detto - ha ripetuto il segretario lombardo del Carroccio Matteo Salvini, il falco che ha convinto anche Roberto Maroni a staccare la spina - in Lombardia si va al voto». Ma l'altra novità è che Maroni si fa finalmente vivo con Formigoni e lancia «le primarie per scegliere il candidato presidente». Immediata la replica di Formigoni: «Se è così vuol dire che hanno deciso di andare da soli. Non credo che questo cammino li porterà lontani». Con le sinistre (che sicuramente correranno al plurale) che dopo Milano potrebbero prendersi facilmente anche la Regione. «Se la Lega dice “siamo stati male interpretati” - replica Formigoni - c'è sempre uno spazio» per proseguire la legislatura.
Ma ieri il coordinatore regionale del Pdl Alberto Giorgetti ha detto che una prima conseguenza del tradimento, potrebbe essere il voto anticipato anche in Veneto. Con il rischio di un risiko che coinvolgerebbe il Piemonte e magari anche il Friuli Venezia Giulia. Di certo c'è che Formigoni non ha alcuna intenzione di infliggere sei mesi di campagna elettorale a una regione che producendo una buona fetta del Pil nazionale sarà determinante per agganciare la ripresa economica. «Se la Lega lascia l'alleanza, ho il dovere di ridurre i tempi per dare certezze ai lombardi». Ma falsa sarebbe per Formigoni la lettura di un Angelino Alfano che lo scarica. Perché niente «accanimento terapeutico», sarebbe un'immagine «scelta insieme». E già da oggi, se Maroni non ci ripenserà, il via alle procedure per sciogliere il consiglio e decidere la data del voto. Ma non prima, l'unica avvertenza, di aver messo mano alla modifica della legge elettorale, a partire dall'abolizione del listino bloccato. Quello che ha fatto diventare Nicole Minetti consigliere senza bisogno di raccogliere nemmeno una preferenza. E così nei corridoi della Regione già si parla di un voto prima di Natale. Con Formigoni che potrebbe anche non candidarsi presidente, ma presenterebbe una lista di fedelissimi. «Il 50,1 per cento dei lombardi crede in me - ha detto ieri a muso duro nel battibecco con il giornalista Alessio Vinci a cui ha anche dato del “comiziante da strapazzo” - Sono stato eletto con il 56, sono riusciti a portarmi via soltanto il 6 per cento degli elettori e io sono convinto di poterli recuperare». Ricordando poi di «aver vinto finora quattro elezioni su quattro».
Impossibile dribblare la faccenda Domenico Zambetti, l'assessore regionale arrestato con l'accusa di aver comprato 4mila voti dalla 'ndrangheta per 200mila euro. «Io avevo dubbi su di lui - ha spiegato Formigoni - Avevo sentito delle voci, ma qui a Milano si sentono voci su tutti. Gli ho parlato più volte e lui ha sempre negato tutto. Quindi è anche uno spergiuro». Tornerebbe in vacanza con Pierangelo Daccò, il faccendiere della sanità condannato a 10 anni per il crac del San Raffaele? «Perché no? Non ho ricevuto alcun vantaggio da Daccò e Daccò non ha ricevuto alcun vantaggio da me. La magistratura sta facendo il suo mestiere. Quando finirà saprete come sono andate le cose».
Domani un consiglio regionale che sarà rovente. E già girano i nomi dei possibili candidati governatore. Con Maroni non disposto a correre e la Lega pronta ad affidarsi al sindaco di Varese ed ex presidente del Consiglio regionale, l'avvocato Attilio Fontana o al rampante Matteo Salvini.

Per l'area Pdl-An in corsa l'ex sindaco Gabriele Albertini, Mariastella Gelmini e Maurizio Lupi. Mentre la sinistra si affiderebbe al democristiano di ritorno Bruno Tabacci. Che della Lombardia fu presidente nel 1987. Venticinque anni fa.

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