Franchi tiratori già rottamati E nel Pd sparisce l'opposizione

In due mesi Renzi ha fatto il vuoto: i pochi che non sono diventati suoi fan possono solo dimettersi, come Fassina e Cuperlo. Ridicolizzati dal leader

Franchi tiratori già rottamati E nel Pd sparisce l'opposizione

Rottamati, nell'ombra, anche i franchi tiratori del Pd. Se ci sono, hanno i fucili scarichi, le armi spuntate. Una ventina nel primo voto sulle pregiudiziali alla legge elettorale, meno di quanto si temesse, segno visibile di una normalizzazione pressoché assoluta del Partito democratico, con un'opposizione interna alla segreteria Renzi che, se ancora c'è, conta poco o nulla. Il tradizionale gioco delle correnti, con i rispettivi leader in competizione tra loro, è andato in mille pezzi col plebiscito di Renzi alle primarie, e da quel momento l'apparato Pd non dà segni di ripresa. Il massimo gesto di sfida che i dissidenti hanno osato finora sono state le dimissioni. Prima quelle del viceministro Fassina, poi quelle di Cuperlo. Accolte dal segretario fiorentino con la gravità di un buffetto. Se in questi tempi di crisi uno (Fassina, ndr) si dimette per una battuta, mi dispiace per lui. «Se uno si dimette (Cuperlo, ndr) vuol dire che si è dimesso. Faccio fatica con le liturgie». Liquidati in tre secondi, tanto per capire il peso che ha la componente anti Renzi nel Pd: zero o poco più.

Mai si era realizzato un simile azzeramento dell'opposizione nel Pd, e prima nell'Ulivo, e prima ancora nei Ds. Anche nei picchi di Veltroni leader c'era sempre l'ala fedele a D'Alema, suo eterno rivale, a bilanciarne il potere. Nella stagione di Prodi l'antagonismo tra ex comunisti ed ex democristiani della Margherita fungeva da divisore i poteri, nei Ds c'era la logica dei capicorrente.

Nel giro di due mesi invece la scalata renziana del Pd ha fatto il vuoto attorno a sé. Chi non è renziano, e molti lo sono diventati anche a costo di piroette acrobatiche, non tocca più palla, ha spazi limitati. Il grosso guaio dei non-renziani è l'assenza di un leader. Fassina? Cuperlo? Civati? Nessuno di loro sembra in grado di coalizzare attorno a sé l'area dei dissidenti, né sembra avere la forza per costruire una vera opposizione interna. Bersani? È lo sconfitto per eccellenza, il segretario che non ha vinto le elezioni e ha perso la sfida contro il giovanotto di Firenze, anche se per interposta persona. I vecchi big? D'Alema si è tirato da parte, Veltroni è fan di Renzi, Prodi ha fatto il suo tempo. Ma è pensabile un ritorno dei vecchi quando l'appeal della nuova stagione renziana si è costruito proprio sul valore della gioventù, del ricambio generazionale, della rottamazione di quelli che erano già lì «quando io andavo alle medie»?

La geografia del Pd racconta però di gruppetti, correnti deboli, resistenti poco amalgamati tra loro ma comunque non allineati con Renzi, anche se impotenti. Se l'ex premier si dedica al cane e non ambisce a sfide, altri nel Pd, anche giovani, guardano ancora al «dalemismo» come alternativa al renzismo. In quest'area del dissenso anti Renzi va conteggiato il deputato trentaquattrenne Danilo Leva, dalemiano di terza generazione, ex responsabile Giustizia del Pd, uno che in passato ha criticato pesantemente l'attuale segretario («Renzi usa lo stesso linguaggio di Grillo»). I bersaniani ci sono ancora, basta sforzarsi un po' per vederli, spesso sono passati in altre correnti meno precarie. Tra loro c'è l'onorevole Paola De Micheli, bersaniana ora lettiana, una maldigerita dai renziani. Lettiano puro, e renzi-scettico è Marco Meloni, deputato, detto «il Gianni Letta di Enrico Letta». Bersaniani, o cuperliani, sono altri non allineati come i deputati Alfredo D'Attorre, Nico Stumpo (già organizzatore del Pd), l'ex tesoriere Antonio Misiani subito fatto fuori da Renzi. O come il sottosegretario Maurizio Martina (classe '78), o il ministro Zanonato. Poi ci sono i cosiddetti «giovani turchi» come Fassina, Orlando, Orfini.

E poi i teo-dem, i cattolici Pd alla Fioroni. Tanti, ma deboli, disorganizzati e senza leader che possa tenere testa a Renzi, che sembra inaffondabile nel partito. A meno che non segua l'esempio di tutti i suoi predecessori. Si autoaffondi.

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