È il 25 febbraio. Lo spoglio delle Politiche è in corso e gli occhi del mondo - complice la copertura giornalistica delle dimissioni papali - sono puntati sull'Italia. L'attenzione per il voto è altissima, così come la curiosità di verificare se Mario Monti riuscirà a restare al suo posto, se Silvio Berlusconi - «the comeback kid» - otterrà ancora la fiducia degli italiani, se la sinistra scalerà Palazzo Chigi o se «the 5 stars Movement» di Beppe Grillo travolgerà i partiti tradizionali. Unico problema: scarseggiano i politici italiani che parlino inglese e siano disposti non a rilasciare una semplice dichiarazione ma a partecipare a un dibattito in diretta in lingua straniera.
La ricerca è serrata. I telefoni squillano. Gli uffici stampa dei partiti ricevono riochieste in sequenza. A risolvere il problema è Al Jazeera che ha l'idea giusta e decide di convocare Franco Frattini. L'ex ministro degli Esteri, un tempo ferratissimo sul francese e non impeccabile sull'inglese, durante l'esperienza alla Commissione europea si è sottoposto a sedute mattutine e a corsi intensivi e ora maneggia con perfetta padronanza la lingua di Shakespeare, anche nei suoi aspetti più tecnici e nella terminologia politico-legislativa. Una atout non trascurabile per le tv straniere che se lo contendono e lo costringono agli straordinari, rimpallandoselo da uno studio all'altro (con una parentesi per una intervista telefonica in francese a Le Figaro).
Frattini, promosso in inglese, diventa «the voice of Italy»
L'ex ministro degli Esteri in queste settimane è diventato un punto di riferimento per commentare i fatti della politica italiana. Il motivo? È uno dei pochi che "governa" la lingue inglese ed è in grado di affrontare un collegamento in studio nella lingua di Shakespeare
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