Zero è un numero troppo grande. Non si sposta, maledetto. Zero ori. Zero in tre giorni. Zero invece di tre. Niente, anziché tutto. Si può essere il Paese che organizza le Olimpiadi per mostrarsi forte e poi si ritrova presto con le spalle scoperte. Lo sport è malvagio. Tom Daley porta il peso della Gran Bretagna ferita da se stessa: avrebbe dovuto essere davanti, nel medagliere. Piena di podi e piena di ori. È giù, in fondo. È come Daley quando entra in acqua e schizza troppo. È l'errore. È il sortilegio. È la fine. Rimettete a posto l'Union Jack, il Regno Unito deve ancora aspettare. Lui e il suo compagno dei tuffi sincronizzati Peter Waterfield finiscono quarti, con gli occhi chiusi per la delusione, con la testa bassa per la vergogna.
È il giorno infelice di un Paese che cerca felicità, che punta alle Olimpiadi per prendersi altro, che usa lo sport per spingersi altrove. È quella maledizione dello zero che non si schioda: fino a quando resterà lì come un macigno sul medagliere e sulle coscienze dei britannici continuerà ad andare tutto alla rovescia. Volevano l'oro nel ciclismo su strada: un milione e mezzo di persone sul percorso per Mark Cavendish. Ventottesimo. Il condannato a vincere che arriva come un gregario. Poi la bici femminile: anche lì, volevano l'oro hanno trovato un argento. Poi convinti che la nuotatrice Adlington gli avrebbe regalato chissà che: un bronzo, per ora.
I Giochi in casa sono difficili. Sono una condanna alla tensione perenne: più vuoi vincere, più ti trovi indietro. Prendono schiaffi a ogni passo, i britannici. La delusione sportiva è lo specchio di molto altro. È un giorno bastardo, questo: si scopre che qualcuno ha perso le chiavi di Wembley. Qualcuno ha smarrito il laser ultratecnologico con cui si aprono e si chiudono i cancelli dello stadio più importante del mondo. Quello dove si giocherà la finale delle Olimpiadi. Quello dove si gioca la storia. Quarantamila sterline il danno economico della scomparsa delle chiavi. Molto più grande il danno d'immagine. È la gaffe che fa scopa con quella sulla sicurezza: alla vigilia dei Giochi la società incaricata di gestire l'intelligence delle Olimpiadi avvertì che non ce l'avrebbe fatta. Aveva poca gente e mal addestrata: scoppiò il caos, con l'intervento del governo costretto a mandare 13mila soldati a vigilare sulle falle create da chi era stato pagato per garantire la serenità olimpica. Il caso Wembley è peggiore, dicono qui. Perché avviene con cinquemila network televisivi collegati 24 ore al giorno con Londra: la figuraccia rimbalza ovunque. Non basta Scotland Yard che apre un'inchiesta, non basta giustificarsi dicendo che erano solo le chiavi di alcune porte interne. Il pasticcio è fatto ed è come il fango che si propaga dappertutto: pensi di aver pulito tutto e invece continui a lasciare le macchie ovunque. Allora adesso viene fuori che sarebbe sparito pure un laser simile a Wimbledon. Altro tempio profanato dagli errori: tra i guai degli inglesi c'è anche la storia del prato dei campi da tennis più importanti del pianeta. L'erba è stata cambiata per i Giochi e atleti, pubblico, addetti ai lavori vari sostengono che quella nuova faccia discretamente pietà. E già che i puristi hanno massacrato gli organizzatori che hanno lasciato che lì, su quei nobili prati, si giochi per la prima volta nella storia senza l'obbligo del bianco integrale dei giocatori.
È come se non ci sia tregua per gli inglesi. Chiudono un buco e si apre una caverna. La nazionale unita del Regno disunito, all'inizio: prima di cominciare i Giochi erano già nel caos per il fatto di aver convocato solo inglesi e gallesi nel calcio, escludendo scozzesi e nordirlandesi. Polemiche, malumori, risentimenti. Ora il carico supplementare. Le medaglie che non arrivano innervosiscono. L'ingresso del Team GB nello stadio olimpico il giorno dell'inaugurazione dei Giochi è stato accompagnato dalle note di Heroes di David Bowie. Eroi di che? I giornali ironizzano. Se la prendono con il povero Daley. Credevano in lui e si sentono traditi. Era il bello, bravo, buono che avrebbe purificato il Paese. Invece no. Troppo fragile, gli dicono adesso. L'hanno persino insultato via twitter ieri: «Oggi hai deluso tuo padre», ha scritto qualche vigliacco sulla sua pagina. Una coltellata infame. Il papà di Tom, Rob, accanito sostenitore e guida del figlio nell'ascesa verso la notorietà, è morto infatti di cancro a maggio. Cattivi, nervosi, delusi, i britannici. Convinto di approfittare della vittoria del tuffatore, ieri s'è presentato in piscina anche il premier David Cameron. Fregato. S'è visto la sconfitta e adesso si trova anche nella pessima posizione del porta sfortuna. Perché i giornali qui l'hanno chiamato TutanCameron. Scrivono: qualche settimana fa è andato a vedere la finale di Wimbledon e lo scozzese Andy Murray ha perso, poi s'è presentato al traguardo del ciclismo olimpico immaginando che Cavendish avrebbe vinto di fronte a Buckingham Palace e invece è stata una tragedia, ieri ha preso la metropolitana per arrivare come uno spettatore normale all'Acquatic Park e s'è preso un'altra batosta.
Non è tempo per lui, né per loro. Li vedi gli inglesi, adesso. Terrorizzati dall'idea del flop. Preparati come mai nella loro storia a fare il pieno e ora angosciati dalla prospettiva della delusione. Era da Seul 1988 che la nazione ospitante, a tre giorni dall'inizio delle Olimpiadi, non aveva ancora portato a casa almeno una medaglia d'oro. Nel caso della Gran Bretagna il fastidio è più grave. Perché qui avevano preparato tutto: vinciamo e ci rilanciamo, nello sport e in tutto il resto. Invece ci si mettono persino i giudici, qui. Come nella ginnastica artistica dove sembrava che i britannici avessero preso un argento insperato. Il Giappone ha fatto ricorso e l'ha vinto: a Tokyo il secondo posto, a Londra resta il terzo. Consolante il giusto, cioè poco. Perché sembra per il momento che la cappa di depressione sia pesante. Zero, maledetto zero. Con le botte che s'aggiungono agli schiaffi. Arrivano dal Financial Times: «Non sembra che l'idea del premier Cameron di legare le Olimpiadi alla ripresa della Gran Bretagna funzioni. Vorremmo sapere se ha un progetto per questo Paese e che cosa sarà della nostra economia».
Uno-due, più veloce dell'errore che lascia fuori dal podio Daley il suo compagno e l'intero Regno Unito. Sono giorni complicati per la Gran Bretagna. Sport, politica, finanza. Le Olimpiadi dovevano coprire, invece scoprono. Manca quell'oro, accidenti. Oggi? Dicono di sì, dai. Nel canottaggio. Simboli. Lo sport più nobile, nel posto più nobile.
Credono tutti negli otto canottieri con l'Union Jack sulle spalle. Si voga a Eton, nelle acque sacre del Tamigi, dove il canottaggio è nato. E dove nasce la classe dirigente del Paese. Anche Cameron è passato da lì. Questo ora è il punto debole della storia, però.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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