Il giallo dell'omosessualità dietro alla morte per overdose di Philip Seymour Hoffman

Il presunto amante: "Era oppresso dalla confusione sessuale". Poi si rimangia tutto

Il giallo dell'omosessualità dietro alla morte per overdose di Philip Seymour Hoffman

Ieri i detectives della Narcotici di New York sono risaliti a una casa modesta di Mott Street, un chilometro dall'appartamento in cui, domenica sera, Philip Seymour Hoffman è stato trovato dall'amante David Bar Katz con l'ago in vena, morto per overdose. Altro che andare insieme al Super Bowl.

Lacerato dalla sua doppia identità sessuale – compagno della sceneggiatrice Mimi o'Donnell, madre dei loro tre figli e partner gay dello sceneggiatore Katz – il divo l'avrebbe fatta finita. Arte e dannazione? No, ero e ragazzi a tutte le ore. «Non pensavo che la sua dipendenza fosse a quel punto. Ero l'amante gay di Philip», ha detto il compagno di Phil, salvo poi smentire tutto a distanza di qualche ora. Sessualmente confuso, o meno, al 302 di Mott Street, gli investigatori hanno rinvenuto 350 dosi per lo spaccio di strada e hanno arrestato i pusher del premio Oscar. Erano Max Rosenblum e Juliana Luchkeiw, 22 anni, e Robert Vinehag, 57, a preparare i parafernalia per Phil, 46 anni. Metà dei quali fuori e dentro i «rehab», per «Elisa», l'ero nella canzone di Franco Battiato.

«Lei ti lascia e ti riprende come e quando vuole lei», cantava Alice nel 1981 e così è stato per l'attore bisex, la cui morte svela un retroscena di ordinario squallore. E non c'è tappeto rosso che tenga, se per farcela, aspetti all'angolo un Rosenblum qualunque. Che ha fretta quanto te: lui vuole i soldi e sparire, tu vuoi la droga e finire. Così è stato per Mr. Hoffman, tanto acclamato in pubblico, tra la scena teatrale di Broadway e quella cinematografica di Hollywood, quanto immiserito nel privato. Phil, studi d'Arte Drammatica a New York, teatro di qualità a Broadway, lui e lei per godere, zero problemi di soldi, è crepato come un tossico qualunque. Schiacciato sotto il peso della «ruota», il quotidiano affannarsi dietro al reperimento di droga. Alle prese con lacci emostatici e cucchiaini, sul pavimento del bagno d'un appartamento da single. Non sul lettone di Onora il padre e la madre (di Sidney Lumet), dove la star si sdraiava, servito da un orientale nel rito del «buco». La livella di molti divi hollywoodiani è la droga.

A che servono i guadagni a sei zeri, se la tossicodipendenza rende Corey Monteith, star di Glee morto di overdose al Fairmont Pacific Hotel di Vancouver, uguale a un tossico delle colonne di San Lorenzo? Almeno non c'era Fentanyl,

veleno con cui si taglia la roba meno cara. Ma intorno al corpaccione del divo c'era una dozzina di buste, qualcuna con l'etichetta «Ace of Spades». Come un qualunque «fattone» di periferia, che cerca di dare un senso al caos.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica