«Gianfranco da salvatore della patria a traditore»

«Fini è stato vittima di una volontà distruttiva. Esemplare il fatto che Fli nasce battezzato dai sondaggi al 9-12 per cento e finisce alle urne con lo 0,4».
Urso, quando inizia la parabola discendente di Gianfranco Fini?
«Nel 2008 è al massimo del suo consenso, perfino internazionale. Da lì improvvisamente esce fuori strada».
Perché?
«Beh, lui non digerisce dall'inizio la nascita del partito unico. E pensare che Alleanza nazionale nasce come incubatore di un contenitore comune del centrodestra. Poi arriva Berlusconi a mutare il quadro».
Ecco, Berlusconi. Insomma tutto si riduce al fatto che Fini è insofferente alla personalità del Cav?
«Ma questo è un vulnus di tutto il sistema politico. Si compete sulla base delle personalità ma poi non c'è lo scettro, che sarebbe garantito da un sistema presidenziale».
Torniamo a quel 2008, quando nasce il Pdl.
«Fini frena bruscamente sul partito unico, fa una serie di battute infelici contro Berlusconi».
Però poi entra nel Pdl. Perché?
«Improvvisamente cade il governo Prodi e si va al voto. Fini non è preparato e accetta di entrare nel nuovo soggetto politico prima osteggiato, contrariamente a Casini che invece si sottrae».
Poi, la scelta di emarginarsi a Montecitorio...
«Lui decide di coltivare la sua immagine istituzionale invece di assumere un ruolo di primo piano nel partito».
Nessuno riesce a salvarlo?
«Perché gli viene a mancare la classe dirigente di cui lui stesso si è liberato».
Lei si è dimesso dal governo per seguirlo.

Ora si è sentito tradito?
«Non nego che ho sofferto anche personalmente, per me Fini non è stato rispettoso da un punto di vista umano. Ma tutto rimane sul piano di una scelta politica».
Allora può essere considerato un traditore dai suoi elettori.
«Beh, nel libro lo scrivo: da salvatore a traditore della patria il passo è molto breve».

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