Giusti quei fischi è un grave errore chiedere scusa

Sono gli italiani le vere vittime dell'immigrazione incontrollata Costringerci a subire invasioni è una violenza inaccettabile

Giusti quei fischi è un grave errore chiedere scusa

La società italiana è fra le più avanzate sul piano scientifico, giuridico, artistico, tecnico. Quello che non possiamo, e non vogliamo fare, è essere costretti a comportarci come se, viceversa, fossimo poveri selvaggi, privi di capacità razionali che di fronte alle calamità si gettano in terra, gridando le proprie colpe al cielo e il proprio dolore al mondo nella speranza che la prossima volta il cielo e il mondo siano più clementi. I nostri governanti perciò la smettano di comportarsi come sciamani in terra d'Africa, con bandiere a mezz'asta legate al bastone alzato a supplicare gli Dei e i minuti di silenzio invocati col triplice suono del corno. Adesso basta menzogne. Vogliamo affrontare la questione degli immigrati a Lampedusa con la razionalità con la quale siamo allenati a risolvere le questioni in Italia, non con la mentalità di chi in Africa invoca le piogge. I morti di Lampedusa non li abbiamo ammazzati noi. Non erano italiani, venivano in Italia di propria volontà, senza autorizzazione, senza un lavoro, ma anche senza una necessità assoluta di scappare: non erano inseguiti dal nemico, avevano la propria casa e, come quasi ovunque in Africa, non mancavano né di cibo né delle cose indispensabili alla sopravvivenza. L'Africa, infatti, è povera soltanto perché gli africani non fanno nulla per non essere poveri e non sono capaci di organizzarsi.

Si sono imbarcati spendendo grosse cifre sotto la spinta di specifiche organizzazioni criminali che in Africa tutti conoscono benissimo così come sanno che entrare in Italia senza autorizzazione significa mancare a quella che non soltanto in Italia, ma in ogni paese, in ogni parte del mondo, è una legge iscritta fin dalle origini della società umana nel cuore, nella mente e nel diritto di ogni essere umano: la propria casa, la propria tenda, la propria grotta, la propria tettoia, il proprio paravento, è inviolabile. Nessuno vi può e vi deve entrare senza essere invitato da colui che vi abita e non può occupare neanche lo spazio della sua ombra. Non è mai stato necessario spiegarlo perché tutti gli uomini, dall'età della pietra in poi, l'hanno sempre saputo, anche quelli che vengono a Lampedusa. Lo straniero, l'estraneo, possiede un suo «mana», lo porta con sé e, positivo o negativo che sia, non può «contagiarlo» agli altri senza che gliene sia stato dato il permesso. Il territorio dell'Italia è la casa degli italiani. In nessuna casa italiana si può entrare, neanche la polizia lo può, senza autorizzazione. Chi lo fa è un criminale che la giustizia italiana condanna, anche se non ha rubato nulla. Non c'è nessuna casa, anche piccola e povera, che non abbia, in Italia, uno stuoino davanti alla porta: lo stuoino è il segnale, non che devi pulirti le scarpe, ma che, passandoci sopra, ti decontamini per entrare in uno spazio «altro», lo spazio sacro della persona che vi abita.

I nostri governanti, giustamente contestati ieri, esercitano una terribile violenza nei confronti degli italiani costringendoli a subire ogni giorno l'invasione di stranieri e caricando sulle loro spalle le sfortune di tutti costoro come se ne fossero responsabili.

I ragazzi che in classe hanno dovuto osservare il minuto di silenzio per i morti di Lampedusa se ne sono meravigliati, hanno chiesto una spiegazione ai loro insegnanti: perché? Non abbiamo mai fatto il minuto di silenzio neanche per i nostri ragazzi morti in Afganistan, eppure erano italiani, erano stati uccisi per servire l'Italia, per servire noi.

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