GIUSTIZIA E POLITICA

RomaPer autorizzare le intercettazioni saranno necessari «gravi indizi di reato» e non «evidenti indizi di colpevolezza», come diceva il testo più restrittivo del disegno di legge approvato dalla Camera. E per le indagini in corso continuerà a valere la vecchia e meno severa normativa, anche se le intercettazioni (solo per reati con pena massima oltre i 6 anni) non potranno superare il nuovo limite temporale di 75 giorni, dall’entrata in vigore della legge.
Con queste concessioni, tradotte in due emendamenti, il governo va incontro in Senato alle richieste della magistratura, delle opposizione e dello stesso capo dello Stato perché le nuove regole non siano troppo restrittive. Si aggiungono i 10 emendamenti presentati ieri in Commissione Giustizia dal relatore del Pdl Roberto Centaro, ma su alcuni punti non si cede, anzi, la stretta sui media viene rafforzata.
Per il centrosinistra le modifiche non convincono. «C’è un’apertura - spiega Felice Casson del Pd - sui presupposti per le intercettazioni, ma non basta. Il testo è sballato». Insieme ad Anna Finocchiaro critica in particolare il raddoppio delle pene per i giornalisti: «Un grave attacco alla libertà di stampa». Aperture? Per il leader dell’Idv Antonio Di Pietro sono «alla mafia e alla criminalità organizzata». Il testo «resta impresentabile e indecente», dice Felice Belisario. Conciliante, invece, l’Udc. «È un primo buon passo indietro - dice Gianpiero D’Alia - per riaprire serenamente una discussione che, per colpa della maggioranza, ritenevamo irrimediabilmente chiusa».
Il Pdl fissa la tabella di marcia e non sembra disponibile ad ulteriori ritardi. Il presidente della Commissione Giustizia, Filippo Berselli, dà tempo fino a lunedì per presentare subemendamenti e mercoledì inizierà il voto. Proprio il 28 la Fnsi annuncia una manifestazione di protesta davanti al Senato.
La durata massima delle intercettazioni sarà 60 giorni, più 15 di proroga se emerge che si sta per compiere un nuovo reato o qualcosa legato a quello su cui si indaga. Per impedire la cosiddetta «pesca a strascico», potrà essere ascoltato o ripreso solo un indagato o una persona direttamente connessa con il reato in questione. Basta, quindi, all’ascolto di terzi, soprattutto per conversazioni senza alcun interesse penale.
Per poter intercettare i parlamentari o acquisire tabulati di telefonate ci vorrà l’autorizzazione della giunta della Camera di appartenenza e il testo delle conversazioni sarà subito trasmesso al procuratore della Repubblica, che lo custodirà in un fascicolo a parte nell’archivio riservato.
Rischierà 6 anni di carcere invece di 5, sia la «talpa» che ha diffuso documenti della Procura coperti da segreto istruttorio, sia il giornalista che li pubblicherà diventando «correo». E questo riguarda anche riprese televisive che «rubano» le conversazioni, come i programmi a telecamera nascosta. È previsto l’arresto fino a 2 mesi o 10mila euro di multa (che salgono a 20mila per intercettazioni telefoniche) per il giornalista che pubblicherà atti di un processo prima dell’udienza preliminare. È sempre vietata la pubblicazione, anche se parziale o per riassunto, di conversazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione, o di quelle che vengono accantonate perché riguardano persone estranee alle indagini.

Carcere da 1 a 4 anni, inoltre, per chi «fraudolentemente effettua registrazioni o riprese video di conversazioni a lui dirette o comunque effettuate in sua presenza». L’opposizione lo definisce «emendamento anti-D’Addario» e lo ritiene «pericoloso».

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