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Se c'è una cosa chiara nella vita disordinata e nella carriera avventurosa di Dylan Dog è questa. Che, al netto della camicia rossa e delle Clarks, è il personaggio più anticonformista, anarchico, irregolare, e quindi a-politico, della storia dei fumetti. Chi legge le sue storie, tutto penserebbe del vecchio Dylan, un eterno old boy di 33 anni e la faccia di un attore dandy, tranne che possa scendere, o salire, in campo per qualcuno. O anche solo votarlo. Farne l'icona di un partito non è solo stupido. Ma anche filologicamente scorretto.
Eppure, scorrettamente, l'entourage di Antonio Ingroia, l'ex procuratore aggiunto di Palermo in corsa alle elezioni, lo ha scelto come testimonial per la sua lista. Nei manifesti Dylan Dog, presentato come lavoratore a progetto (!), esclama: «Basta con questi mostri che ammorbano le istituzioni». E poi l'annuncio: «Anche io voto Rivoluzione Civile. Insieme vinciamo». «Insieme» mica tanto. Cinque minuti dopo la comparsa in Rete dei manifesti la Sergio Bonelli Editore ha diffidato il magistrato dal mettere le mani sul proprio figlioccio preferito.
Certo. La Bonelli vieterebbe a chiunque l'uso di un simile brand. E Dylan avrebbe detto no a tutti. A Berlusconi, a Grillo, al «vampiro» succhia-tasse Mario Monti e persino (conoscendolo da quando eravamo piccoli, nel 1986, quando ancora i pm facevano solo i pm e gli indagatori dell'incubo facevano solo gli indagatori dell'incubo) persino, dicevamo, ai buoni e i giusti, come Bersani. Sapendo bene che in politica bontà e giustizia sono sempre una cosa relativa, come i partiti di maggioranza. E forse avrebbe scaricato anche a Sergio Cofferati, storico segretario Cgil e soprattutto storico suo fan.
Comunque, che Dylan Dog diffidi una qualsiasi forza politica dall'usare il proprio nome, è una notizia. Che metta sotto accusa un magistrato, diventa un incubo. Se non fosse per l'involontaria comicità della situazione reale, sarebbe il soggetto di una splendida avventura.
Ipocondriaco, tecnologicamente semianalfabeta, squattrinato e completamente disinteressato agli aspetti pratici della vita, Dylan Dog - uno che invece di guardare i talk show passa le serate a costruire l'interminabile modellino di un galeone - è il perfetto rappresentante, semmai, del partito del non voto. Peraltro è uno che non mette neppure il cappotto perché «rovinerebbe il look». No, non ce lo vediamo proprio andare ai seggi alla domenica mattina per votare un magistrato perfettino che ha deciso di fare politica. Due caratteri talmente incompatibili che ieri la Rete si è scatenata, denunciando l'appropriazione indebita. Così che in serata Ingroia ha mandato un tweet alla sua squadra: «Ragazzi, facciamo la Rivoluzione Civile ma facciamola anche legale. Il copyright va rispettato».
E comunque, essendo Dylan Dog il primo a rimanere scettico verso gli strani casi che si trova ad affrontare, finirebbe per consigliare anche ad Ingroia, come fa con molti clienti, una visita psicologica, prima di ammettere l'esistenza del paranormale. Come ad esempio che un magistrato di Palermo possa salvare il Paese.
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