Cronaca locale

Giustiziato nei campi l'ex boss diventato barbone

Ucciso insieme a un amico. Emanuele Tatone a Milano era un ras. Ma adesso viveva in una tenda

Giustiziato nei campi l'ex boss diventato barbone

Milano - In mezzo alle pallottole, lui Emanuele Tatone detto Lele c'era cresciuto, riuscendo sempre a schivarle, diventando così insieme ai quattro fratelli il boss indiscusso di Quarto Oggiaro, il Bronx di Milano. L'ultima però non è riuscita a evitarla, una sola, a bruciapelo, gli ha squarciato la gola. Vista la scena Paolo Simone, l'amico che era con lui, tenta una fuga disperata ma viene fermato con un colpo in testa dopo pochi metri. Tre ore a pancia in giù in un campo in periferia, poi verso le 15 un passante vede i corpi e lancia l'allarme. Rapida l'identificazione, che consente di mettere fine alla «gloriosa» carriera di un bandito che, dopo aver toccato l'apogeo tra gli anni '80 e '90, aveva imboccato un inesorabile declino, arrivando a vivere, solo e ammalato, in un tenda al centro del quartiere che era stato il suo regno. Tatone era infatti un nome di tutto rispetto fin dal 1972, quando mamma Rosa aveva portato da Casaluce in provincia di Caserta i suoi cinque ragazzi: Mario, Pasquale, Nicola, Adelina e appunto Lele, classe 1961. Iniziano ancora adolescenti con furti e rapine poi passano al traffico di droga, imponendo la loro legge a Quarto Oggiaro, uno dei quartieri più difficili di Milano. Da quel momento i Tatone, donne comprese, entrano ed escono regolarmente di galera. Negli anni Ottanta iniziano le sparatorie, i ragazzi vengono coinvolti in fatti di sangue sempre più cruenti. Una volta sparano a un carrozziere perché si era permesso di spostare la loro auto parcheggiata male, un'altra volta Emenuele tenta di ammazzare l'uomo che gli aveva insidiato la fidanzata. Per questo e altri atteggiamenti spavaldi si guadagna il soprannome di «Pazzo».

Poi il declino, i Tatone da cacciatori si trasformano in prede e nelle sparatorie in cui sono coinvolti, sono sempre più spesso bersagli. Il clan deva andare sulla difensiva. In particolare Emanuele, soprattutto perchè la cocaina, oltre a venderla, aveva iniziato a tirarla come un disperato. Negli ultimi tempi era ormai l'ombra di se stesso: invecchiato, malato, qualche mese fa viene anche sfrattato per morosità da una casa popolare, e lui si installa nel cortile dello stabile con una tenda. Ormai più un barbone che un boss, tanto da accompagnarsi con Paolo Simone, 54 anni, un tossicodipendente della Comasina, altro quartierino raccomandabile, con una sfilza di reati lunga un chilometro ma in sostanza un povero disperato. Ieri verso le 12.30 Tatone arriva con la Opel Astra nera dell'amico in fondo a via Lessona, estrema periferia, sicuramente per un appuntamento. I due fanno appena in tempo a scendere e parte la scarica. Un pensionato che coltiva un orto poco distante, sente 7/8 colpi, poi vede degli uccelli levarsi in volo e pensa a un cacciatore. Verso le 15 si inoltre nei campi, vede il primo cadavere e dà l'allarme. All'arrivo delle volanti i cadaveri diventano due. Tatone, freddato con un colpo alla gola nei pressi della vettura, Simone sette metri più distante, raggiunto dopo un disperato tentativo di fuga. Arriva Alessandro Giuliano, capo della mobile per cercare di venire a capo del duplice delitto. Visto l'ormai accalarato declino di Tatone e il modesto spessore criminale di Simone, non stiamo parlando di grande criminalità. Forse Lele ha tentato di tornare in affari ma nel «giro» il suo nome non basta più a garantigli sicurezza e rispetto. Forse un antico nemico uscito di galera ha pensato di saldare qualche lontano insulto. Oppure un sodale dei bei tempi ha pensato che l'uomo, ormai completamente inaffidabile, potesse raccontare certe vecchie storie di mala.

E gli ha chiuso la bocca per sempre.

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