Nel 2009, per il centrodestra, era stato un plebiscito. Trentaquattro Province conquistate, a fronte delle 12 che la coalizione governava in precedenza. Un secco più 22 a scapito del centrosinistra, che se ne era aggiudicate 28 perdendone però ben 22, visto che prima ne aveva 50. Un trionfo, per l'allora neonato Pdl alleato al Nord con la Lega e al Sud con gli autonomisti del Mpa. Un trionfo che lo svuotamento delle Province appena varato cancella con un colpo di spugna. Sì, perché il golpe rosso che blocca il voto nelle Province lasciando come prospettiva il commissariamento in attesa della modifica del Titolo V della Costituzione e della cancellazione degli enti intermedi di fatto colpisce, in larga parte, proprio quel voto, cancellando la volontà degli elettori: avevano scelto un'amministrazione di centrodestra e si ritroveranno, senza essere stati nemmeno interpellati, con dei commissari che, nominati dal centrosinistra, di certo non saranno del loro colore politico. Insomma, un ribaltone, da Milano a Crotone, da Venezia a Napoli. Un capovolgimento di fronte silenzioso, senza ricorso alle urne, utile non si sa sino a che punto alle casse dello Stato ma certo dannoso per la democrazia.
Un ribaltone nato, in sordina, con il governo Monti prima e con l'esecutivo guidato da Enrico Letta poi. Sì, perché è dal decreto Salva Italia del 2012 che, in sordina, la rivoluzione rossa è cominciata con lo stop al voto negli enti in scadenza e con il commissariamento delle Province, 21 in tutto: 11 (di cui cinque inizialmente in mano al centrodestra) nel 2012 (Ancona, Asti, Belluno, Biella, Brindisi, Como, Genova, La Spezia, Roma, Vibo Valentia e Vicenza) e 10 (sei delle quali in partenza di centrodestra) nel 2013 (Avellino, Benevento, Catanzaro, Foggia, Frosinone, Lodi, Massa Carrara, Rieti, Taranto e Varese). Ventuno Province commissariate, cui adesso si aggiungeranno le 52 in scadenza quest'anno, 25 delle quali (Ascoli Piceno, Bari, Barletta Trani-Andria, Bergamo, Brescia, Chieti, Cremona, Crotone, Cuneo, Isernia, Latina, Lecce, Lecco, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Padova, Piacenza, Salerno, Savona, Sondrio, Teramo, Venezia, Verbano-Cusio-Ossola, Verona), in maggioranza proprio in quel trionfale 2009, erano state conquistate dal centrodestra.
L'antipasto di quello che accadrà presto in tutta Italia si è già avuto in Sicilia, dove si partiva da un en plein - nove Province a guida centrodestra su nove - dovuto al voto del 2008: da più di un anno gli enti, la cui abolizione è stata varata dal Parlamento siciliano a marzo del 2013, sono stati smantellati, al posto dei presidenti scelti dai siciliani ci sono i commissari selezionati dal governatore Pd Rosario Crocetta tra i suoi fedelissimi - tanto per dire, a Trapani il commissario straordinario è l'ex pm e leader di Azione civile Antonio Ingroia - che vanno avanti a proroghe. Insomma, un bel caos. E non è che la futura creazione delle città metropolitane migliorerà il quadro. Per una Torino che, di fatto, non cambierà colore - sono del Pd tanto il sindaco, Piero Fassino, che subentrerà come poteri al presidente della Provincia e presidente dell'Upi Antonio Saitta - c'è una Milano che, invece, sarà stravolta: via il presidente della Provincia Pdl, Guido Podestà, e poteri al sindaco arancione di Milano, Giuliano Pisapia. Insomma, al di là del trionfalismo del premier Matteo Renzi («Abbiamo detto basta a tremila politici nelle province, dobbiamo andare avanti come un rullo compressore») i problemi ci sono, eccome. Dal senatore di Forza Italia, Lucio Malan, arriva un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, perché non firmi la riforma appena varata. Nel mirino in particolare l'istituzione dei sindaci metropolitani e l'ampliamento abnorme dei poteri di chi, eletto per governare una città, si ritrova di fatto a fare anche il presidente della Provincia.
Critico con la riforma Delrio anche il presidente della Regione Campania, l'azzurro Stefano Caldoro: «Lo scioglimento delle Province non era una priorità del Paese, non è che sono diminuite le poltrone, sono aumentate. Bisognava partire dal vero problema che è il rapporto tra Regioni e Stato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.