Il governo in croce sgancia 2,2 miliardi

Il governo in croce sgancia 2,2 miliardi

RomaOra il governo corre ai ripari e sui rimborsi Iva scuce qualcosa. Palazzo Chigi è pressato sia dai partiti di maggioranza, in primis il Pdl, sia dalle piccole e medie imprese. Le quali da tempo lamentano di non avere la liquidità che a loro spetta. Così, mentre lo Stato tartassa, non paga i suoi fornitori e ritarda i rimborsi, la spina dorsale del Paese rischia di rompersi. E poi ogni giorno arrivano notizie di suicidi, sequestri e terrore di fallire. A dar notizia di una prima boccata d’ossigeno per le aziende, l’Agenzia delle entrate che, ieri, ha confermato di aver sbloccato i primi 400 milioni di euro. Mentre 1,8 miliardi di euro verranno pagati a partire dalla seconda metà di maggio. Totale: 2,2 miliardi di euro.
Ad aprire la borsa è stato il ministero dell’Economia, finalmente persuaso che così non si può andare avanti, dietro anche a una martellante campagna stampa de Il Sole24Ore che ha dato voce a tante imprese con l’acqua alla gola. Ci sono casi di aziende in crescita, che aumentano il fatturato, ma che in cassa non hanno quattrini perché anticipati allo Stato. Secondo il governo, la fetta di denaro che dovrebbe rientrare nelle tasche delle Pmi toccherà 3,1 miliardi di euro nel 2012, contro i 2,7 miliardi erogati lo scorso anno, per un aumento del 14% rispetto al 2011. Dal canto loro le aziende lamentano che di norma lo Stato ci mette un anno, un anno e sei mesi, per restituire quanto anticipato mentre in alcuni casi si aspettano i rimborsi dovuti per gli anni 2008 e 2009. E ancora, qualche cifra: fra il 2009 e il 2011 le erogazioni sono scese da 8,1 miliardi di euro a 5,9.
Il meccanismo è il seguente: i soggetti passivi di imposta, ovvero imprese e lavoratori autonomi, cioè coloro che hanno diritto alla detrazione sugli acquisti effettuati, devono ogni mese o ogni tre mesi liquidare l’imposta dovuta o a credito verso l’erario. La liquidazione (cioè il calcolo dell’imposta) si fa sommando l’Iva incassata dai propri clienti, sottraendo da tale importo l’Iva versata ai propri fornitori. Da tale differenza può scaturire un debito verso l’erario o un credito. Qualora ci sia un credito, l’impresa può chiedere un rimborso allo Stato.
Le aziende più colpite sono quelle che devono acquistare beni colpiti da un’aliquota Iva più alta rispetto a quella che grava sul bene poi venduto. Casi tipici sono le imprese che operano nel settore agroalimentare. Le imprese lattiero-casearie, ad esempio, a fronte del 21% o del 10% di Iva versata sull’acquisto dei fattori produttivi e delle materie prime, recuperano solo il 4% dalla vendita dei prodotti finiti (latte e formaggi). Risultano quindi, strutturalmente, creditrici d’imposta. Al rimborso della differenza versata in eccesso - cioè di denaro che appartiene all’azienda - l’erario, invece di pagare entro 3 mesi, provvede con ritardi enormi.
A prendersi a cuore la vicenda, soprattutto il Pdl che con il segretario Angelino Alfano ha parlato di una compensazione tra crediti commerciali e debiti fiscali. E poi ha lanciato la proposta: «Se l’imprenditore ha un debito fiscale con lo Stato e al contempo un credito per prestazioni erogate allo Stato - ha osservato Alfano - lo può compensare. Questo sarà scritto nella nostra proposta e poi noi proporremo un rapido recepimento della direttiva europea che prevede il dovere per la pubblica amministrazione di fare i pagamenti entro sessanta giorni». Sulla stessa lunghezza d’onda l’onorevole Laura Ravetto: «Sul problema dei ritardi Iva si deve trovare una soluzione per evitare il collasso delle imprese. Siamo in emergenza».

Poi, al Giornale, Ravetto sottolinea un altro aspetto cruciale: «Secondo il diritto comunitario, l’Iva deve essere una tassazione neutra e non può gravare sull’impresa». Inoltre «nel resto d’Europa il rimborso arriva dopo 30 giorni».

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