Il grande freddo fra Letta e Alfano

Ovazione per l'ex premier. Dopo un saluto frettoloso al suo ex vice, si siede davanti a Renzi. E fissa negli occhi chi l'ha sfrattato

Il grande freddo fra Letta e Alfano

Roma - Enrico Letta, «deputato della Repubblica» come da qualche giorno si legge nel suo profilo sui social network, si appresta a iniziare la sua «second life» da ex premier. Per il momento, però, fa ancora fatica a scrollarsi di dosso il suo recente passato a causa di ferite evidentemente troppo fresche. Nel grande giorno di Matteo Renzi alla Camera, buona parte dell'attesa è rivolta verso di lui, il suo antagonista, il presidente del Consiglio finito vittima della faida interna al Pd. Chi lo aspetta al varco per studiarne mosse, espressioni e linguaggio del corpo non resta deluso. Letta, prima di staccare la spina e allontanarsi dall'Italia, decide di offrire il suo recalcitrante omaggio alla disciplina di partito e votare la fiducia all'esecutivo. Una scelta compiuta con un entusiasmo pari a quello con il quale sabato scorso ha consegnato al suo sostituto la campanella del Consiglio dei ministri. Un atteggiamento di sostanziale indifferenza che riserva in fotocopia al suo ex vicepremier Angelino Alfano: una stretta di mano e via, senza alcun trasporto o calore. Il suo ingresso, attorno alle 16.30, poco prima che l'ex rottamatore inizi la sua replica, segna uno dei pochi brividi di giornata. Dopo i tiepidi applausi che hanno accompagnato in questi due giorni i discorsi di Renzi, la comparsa di Letta nell'aula di Montecitorio fa scattare l'unica vera ovazione, un applauso che si rafforza in termini di decibel quando il premier uscente si reca ad abbracciare Pier Luigi Bersani. Con Renzi va in scena il secondo tempo del Grande Freddo, in ossequio alla scelta di evitare convenevoli ipocriti e strette di mano mediatiche. Letta si limita a twittare «bentornato» a Pier Luigi Bersani. Ascolta il suo successore non tra i banchi del Pd ma seduto in quelli davanti al governo, destinati ai comitati ristretti delle commissioni. Poi è tra i primi a votare la fiducia al nuovo governo e sgattaiolare via senza rilasciare dichiarazioni. E non manca chi, come l'ex parlamentare Pd Mario Adinolfi fa notare «l'ipocrisia dei deputati Pd che prima lo fucilano, poi gli fanno la standing ovation. Fossi in Letta non lo sopporterei». Un esercizio di cattiva coscienza sottolineato anche da Claudio Velardi: «C'è la saga dell'ipocrisia nell'applauso del gruppo».

Se i commenti si moltiplicano, l'ex premier tiene fede alla sua personale regola del silenzio, evita la classica intervista di commiato e si prepara al suo viaggio di «disintossicazione» in Australia, terra entrata nel suo cuore nel maggio 2012 quando in rappresentanza del Pd visitò Sidney, Canberra e Melbourne. Un soggiorno durante il quale rifletterà sul suo futuro. Qualcuno in queste ore è arrivato a ipotizzare un addio alla politica, con un possibile incarico in una università statunitense. Molto più probabile, invece, che una volta sbollita la rabbia, Letta indossi l'abito di riserva della Repubblica. Una riserva che potrebbe presto scendere in campo. Nonostante il congelamento dei rapporti con Renzi, dentro il Pd sono tutti convinti che il candidato italiano per un posto da commissario europeo sarà lui, vincendo la concorrenza di Massimo D'Alema, Enzo Moavero e Paolo De Castro, anche grazie ai buoni uffici di Giorgio Napolitano. Il portafoglio potrebbe essere quello dell'Agricoltura, anche se c'è chi sostiene che potrebbe attenderlo l'incarico di vicepresidente della Commissione europea.

Una remunerazione importante con cui il Pd coglierebbe due obiettivi: lavare la propria coscienza e disinnescare la faida pronta a scoppiare tra i tanti che nel partito aspirano alla poltrona oggi occupata da Antonio Tajani.

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