Politica

Grandi imprenditori ma piccoli capitalisti

L'Italia è un Paese di straordinari imprenditori, ma è un Paese povero (a dire poco) di capitalisti. Cerchiamo di spiegarci meglio

La storia l'aveva anticipata proprio il Giornale. Con tutta probabilità Telecom Italia diventa spagnola. E ciò avverrà senza una scalata fatta sul mercato ma attraverso il passaggio di un pacchetto di azioni oggi in mano a banche e assicurazioni italiane. Praticamente nelle stesse ore anche un altro pezzo dei servizi del made in Italy e cioè Alitalia potrebbe diventare definitivamente francese. Cosa sta succedendo?
Semplice. L'Italia è un Paese di straordinari imprenditori, ma è un Paese povero (a dire poco) di capitalisti. Cerchiamo di spiegarci meglio. E prendiamo ad esempio proprio i due casi oggi così clamorosi.

Telecom Italia fu privatizzata dal centrosinistra in modo scriteriato. E fin qua, ormai, tutti convengono. Il governo Prodi non trovò di meglio, perché obiettivamente non c'era molto in giro, che affidare le tlc a una pattuglia di capitalisti all'italiana che con quattro soldi si portarono a casa l'ex monopolista. All'epoca era una gallina dalle uova d'oro. I nostri capitalisti non imprenditori pensarono di usarla come una rendita. Era naturale, grazie alla finanza facile che sommerse il mondo occidentale, che una pattuglia di imprenditori-finanzieri nostrani la scalasse. Ma a debito e grazie, come al solito, all'appoggio della politica (anche in quel caso di centrosinistra). E anche in questo caso i nostri capitani coraggiosi, così furono definiti, più che capitalisti erano finanzieri molto indebitati. Niente di più. Terzo giro del vapore. E qui la storia cambia. Ad entrare in scena Marco Tronchetti Provera. Tutta si può dire dell'uomo, tranne che la sua azienda (Pirelli) fosse gestita male. Tronchetti avrà commesso degli errori come tutti coloro che gestiscono un'impresa, ma il suo punto debole fu che la politica non lo accettò. Il centro sinistra non poteva tollerare che un uomo fuori dai giri romani (e certamente presente invece in quelli milanesi) spostasse il pollaio (le cui uova erano ormai diventate d'argento grazie alla concorrenza) dalla Capitale a Milano. Finisce così, con il solito zampino di un'incredibile vicenda giudiziaria poi finita nel nulla (rispetto al clamore che aveva suscitato), anche la storia di Tronchetti. Che sapientemente (dal suo punto di vista) riporta il gioco dell'oca alla fase iniziale: la Telecom ritorna ad un nocciolino di banche e assicurazioni. La morale è molto semplice. Telecom è un'azienda che malvolentieri la politica ha dovuto privatizzare. Nessun capitalista ci ha messo il «grano». Tronchetti, grazie a un colpo fatto grazie alla nuova economia ci ha provato. Ma ha osato troppo. Persino, alla fine della storia, di fare un accordo con grandi operatori stranieri, che all'epoca la politica non gli permise di chiudere.

Nella storia Telecom sono dunque rintracciabili tre fasi. Quella dei rentier del vecchio salotto buono; quello degli scalatori affascinanti ma scarsamente dotati di capitali che al primo stormir di foglie hanno dovuto cedere; e infine quella dell'unico imprenditore dotato di capitali che ha perso la sua battaglia con la politica.
Alitalia è una storia del tutto simile, anche se manca di qualche passaggio. Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco, che pure oggi sta circolando con insistenza. In molti sostengono: Alitalia finisce ad Air France oggi, mentre avrebbe potuto arrivare più forte a Parigi anni fa. Non è vero. Air France - quando nel 2008 fu affidata a un' improvvisata pattuglia di patrioti italiani -, aveva già alzato molto l'asticella delle sue pretese. Sia in termini economici che di accordi commerciali. Per farla semplice se oggi sarà svendita, allora lo era altrettanto. E bisogna inoltre considerare come Air France in questi ultimi anni abbia perso a rotta di collo e di quanto avrebbe tagliato evidentemente fuori casa sua, se Alitalia le fosse stata affidata cinque anni fa. Ma il punto è un altro. Anche il governo Berlusconi nel 2008 commise un errore simile a quello commesso da Prodi su Telecom: sperare o pensare che in Italia ci fossero dei capitalisti-imprenditori. Ce ne sono pochi della prima specie e nel caso di Alitalia nessuno della seconda.
Quando si entra in una casa che brucia (Alitalia) c'è bisogna di qualcuno che comandi, che si assuma delle responsabilità che rischi, che abbia una visione, insomma di un imprenditore. E Alitalia non ne ha avuti in questi anni. La scommessa del salvataggio è fallita. Ciò che però non è fallito è un grande risultato comunque ottenuto: e cioè liberare lo Stato dalle perdite future che il gruppo avrebbe portato a casa.

Alitalia e Telecom sono declinazioni dello stesso problema. Che potremmo definire ottocentesco. Non ci sono capitalisti italiani. E quei pochi che ci sono si fanno i loro affari. Giustamente. Le operazioni di sistema, sulla carta ottime, sono fatte con i soldi delle banche, cioè dei correntisti, e quelli dello Stato, cioè dei contribuenti. Operazioni che non fanno altro che rendere più lunga l'agonia, ma che non curano il problema. Potremmo ( e non dovremmo) salvare in qualche modo l'italianità di Alitalia e Telecom, ma sarebbe un palliativo. Le imprese hanno bisogno di un imprenditore. E quelle grandi, di capitali. Materia che scarseggia, da queste parti.

di Nicola Porro

Commenti