Nel day after della caotica Assemblea nazionale Pd fallita, arriva pure l'esplosiva intervista del ministro Saccomanni ad arroventare il clima attorno al governo guidato da Enrico Letta. Che è, volente o nolente (volente, secondo i più) il più importante convitato di pietra nella partita congressuale del Pd.
E Saccomanni, lo notano tutti, ripete le stesse esatte parole che aveva detto Matteo Renzi all'Assemblea, e che avevano causato un'ondata di indignazione da parte dei Letta boys: «D'accordo, la colpa dello sforamento del 3% sarà tutta dell'instabilità politica, come ripete Letta, ma se guardiamo bene a quel che è accaduto da maggio in poi ci accorgiamo che la cinghia non la abbiamo proprio tirata del tutto». «Sono le stesse parole del sindaco di Firenze: renziano anche Saccomanni?», chiede ironico Paolo Gentiloni via Twitter.
Di certo, la strada del governo si complica. E c'è persino chi, nell'ala Pd in migliori rapporti con il Quirinale, sussurra che «Napolitano si sta rendendo conto che questo governo non può reggere ancora molto, e comincia a guardare con più interesse a Renzi, e al suo possibile futuro ruolo». Nel Pd è ormai chiaro a tutti che l'antagonismo vero non è quello tra Renzi, Cuperlo e gli altri sfidanti per la segreteria, Civati e Pittella. È quello con Letta, e ha come posta in palio il governo, e la sua durata. Il sindaco di Firenze, almeno in casa democrat, gioca in attacco col vantaggio di poter contare sulla crescente insofferenza della base e dei quadri di partito verso la morsa «contronatura» (Fassina dixit) delle larghe intese. Per questo gli uomini del premier, in alleanza con bersaniani e franceschiniani, vogliono ancora tentare di far slittare il congresso, in modo da impedire a Renzi di approfittare della «finestra» elettorale di primavera. E vogliono che si torni all'attacco per cancellare quell'articolo 3 dello Statuto Pd che fa coincidere il segretario con il candidato premier, che si è inutilmente tentato di modificare nell'Assemblea implosa sabato pomeriggio. Raccontano che sia stata una telefonata del premier in persona, durante i lavori della Commissione sulle regole, a sollecitare l'abolizione di quella norma statutaria e a rifiutare ogni compromesso in materia, che si stava tentando per evitare che l'Assemblea andasse in fumo. Grazie ai pasticci combinati in serie nella gestione delle assise, e probabilmente anche ai tentativi di imboscate sottotraccia per bloccare Renzi, lo Statuto non è stato cambiato e il sindaco, se diventerà segretario a dicembre, sarà anche il candidato premier del Pd. Con ripercussioni assai pericolose per il premier in carica.
E ieri lo stesso segretario Epifani, pur ribadendo che la data delle primarie resta l'8 dicembre, ha affermato che la questione andrà ridiscussa: «Si troverà il modo perché si rispetti anche quello che volevamo, cambiando lo Statuto, affermare: e cioè che il segretario che andremo a eleggere non sarà automaticamente anche il leader della coalizione». Tra i renziani c'è chi sente puzza di bruciato, e vedono lo zampino di Letta: «Non vorremmo che ci fosse una sorta di ricatto: se non ci aiutate a togliere quella roba dallo Statuto, noi faremo ostruzionismo sulla data delle primarie». E siccome la macchina del partito è ancora in mano alla vecchia gestione bersaniana, i rischi di impasse potrebbero esserci.
Ma Gentiloni rassicura: «Se invece di concentrarsi su come ritardare Renzi il Pd si occupasse di politica, sarebbe un vantaggio anche per il premier: con un Pd propositivo e attivo, lui potrebbe avere un positivo ruolo di mediazione nella maggioranza, e non essere costretto a farsi dettare l'agenda dal Pdl».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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