RomaPd tra l'incudine Renzi e il martello Grillo, torchiato sullo stesso nervo: i soldi ai partiti. Il sindaco rottamatore già dalle primarie sfida la nomenclatura Pd sull'abrogazione del finanziamento pubblico, uno dei sine qua non del M5S. La linea di Bersani e degli altri colonnelli, però, è assolutamente per il no a questa proposta bollata come «populista» e «demagogica». La domanda retorica del segretario è: «Vogliamo lasciare la politica ai palazzinari, agli ereditieri, ai miliardari?», tra i quali include non solo Berlusconi ma anche Grillo («lui miliardario, io figlio di operai»). I vertici Pd sanno bene, però, che la loro posizione è impopolare, dunque serve una contromossa da giocare quando, in Parlamento, quella minaccia si trasformerà in una richiesta di voto, soprattutto in caso (difficile) di intesa «alla siciliana» coi parlamentari grillini.
«Ce l'abbiamo una proposta per superare un meccanismo attuale - dice Bersani - ma si leghi alla trasparenza sui partiti». Cosa vuole dire il segretario? Il succo è che se Grillo chiede al Pd, con una lettera che diventa un tormentone su Twitter (#BersaniFirmaQui) di firmare la rinuncia ai 48,8 milioni di rimborsi spettanti, il Pd chiederà di riformare tutto il sistema dei partiti, obbligando il M5S a darsi un vero statuto (ora il M5S ha un cosiddetto «non-statuto»), che dovrà essere conformato «a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti», come recita la nuova legge sul finanziamento dei partiti varata nel luglio scorso.
Se insomma l'abolizione del finanziamento pubblico diventerà l'arma con cui mettere all'angolo il Pd, il Pd replicherà costringendo Grillo a riformare il suo M5S. «Quando Grillo dice di rinunciare ai rimborsi elettorali in realtà rinuncia a una cosa a cui non ha diritto - spiega Antonio Misiani, tesoriere nazionale del Pd - la legge dice che hanno diritto ai rimborsi solo i partiti dotati di statuto democratico, atto costitutivo e precise regole interne, che il M5S non ha, essendo di proprietà di Beppe Grillo, titolare unico del marchio. I partiti finanziati dallo Stato hanno poi obblighi di trasparenza rispetto allo Stato, il M5S invece, che pure è in Parlamento, chi lo controlla? Come si finanzia? Fa un bilancio? E chi lo approva? Nessuno lo sa. Grillo dica sì a una riforma complessiva dei partiti, compreso il suo, il resto è demagogia pura».
Il sospetto che serpeggia nei piani alti Pd è che le campagne elettorali low cost di Grillo (a Parma il sindaco Pizzarotti spese 5mila euro in tutto...) nascondano il trucco. Cioè che una manifestazione come quella di piazza San Giovanni, con palco, musica, attrezzature audio-video eccetera, non possa costare qualche centinaia di euro, ma migliaia... «Per un tour di mesi come lo Tsunami di Grillo servono soldi. Da dove arrivano? Li mette lui che è miliardario?» si chiedono i democratici. Gli stessi sospetti agitati, in epoca primarie, su Renzi e il suo camper (si vagheggiò anche di aiuti Usa...). L'abolizione del finanziamento pubblico, del resto, sarebbe un cataclisma per il Pd, partito-azienda quanto a dimensioni e costi (il Pdl non è da meno, e infatti anche lì ci sono molte resistenze all'idea berlusconiana di cancellare i rimborsi elettorali). Restando al Pd, ci sono 180 stipendi da pagare tra dipendenti, collaboratori a termine o a progetto, con un costo annuo di 12 milioni di euro. Poi le sedi, 140 in tutta Italia, per 2,3 milioni di euro l'anno di affitti. Alberghi, viaggi e ristoranti? Il conto annuo è di 2,7 milioni.
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