RomaLa persona Anna Maria, la Guardasigilli Cancellieri. Che si scusa solo una volta in Parlamento, per «aver fatto prevalere i sentimenti sul doveroso distacco che un ruolo di ministro forse imponeva».
Parla della famosa telefonata («Contate su di me, per qualsiasi cosa») alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, subito dopo l'arresto del costruttore e delle figlie per l'inchiesta Fonsai. Ma, si difende il ministro della Giustizia prima in Senato e poi alla Camera, non c'è stata nessuna «pressione o ingerenza» per far scarcerare Giulia Ligresti, solo una segnalazione al Dap. «Ho agito esattamente come in molti altri casi anonimi. Più di cento negli ultimi mesi». Quindi, per Giulia non «un trattamento privilegiato e differenziato», ma una «decisione autonoma della magistratura, scevra da condizionamenti».
La Cancellieri è già salva e lo sa quando entra a Palazzo Madama, sfoggiando serenità. Al suo fianco ci sono il premier Letta, che ha respinto ogni idea di dimissioni, e i ministri, Angelino Alfano in testa che ha espresso «massimo sostegno».
Contro la mozione di sfiducia del M5S che chiede il voto venerdì e contro i leghisti che vogliono la testa del ministro, il Pdl è compatto, Sc pure. Il Pd un po' meno, ma spiega che non ci sono gli estremi per la sfiducia, anche se la telefonata «resta inopportuna». Il segretario Guglielmo Epifani l'assolve: «Abbiamo riconfermato la fiducia ascoltando le sue motivazioni». La Cancellieri rimane al suo posto. E non da ministro «dimezzato», come ha precisato lei, bensì nel pieno dei suoi poteri: «La fiducia del Parlamento è decisiva per proseguire il mio incarico. Non esiterò a fare un passo indietro se dovessi avvertire che è venuta meno o si è incrinata la stima istituzionale e se dovessi essere d'intralcio al governo».
Beppe Grillo lancia su Twitter l'hashtag «Cancellieridimettiti», per la Lega le ombre restano e serve «il passo indietro», Sel è diviso, FdI critico. Ma dopo l'informativa della Guardasigilli, gli applausi da destra e da sinistra nell'aula gremita del Senato, gli applausi delle larghe intese, dicono chiaro che la partita è chiusa. Così come la plateale stretta di mano tra la Cancellieri e Letta, alla fine della seduta di Montecitorio.
Con orgoglio il ministro rivendica di non aver travalicato le sue competenze, ricostruisce giorno per giorno l'intera vicenda. Cita più volte il procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, per ribadire che il trasferimento ai domiciliari della detenuta Ligresti è avvenuto solo per motivi di salute, dopo la «consulenza medica», non perché ha «mai sollecitato» organi giudiziari per «la scarcerazione», né ha «indotto nessun altro ad agire in tal senso». C'è stata, dice, una «visione distorta dei fatti».
L'ultimo attacco di Repubblica avanza sospetti sul trasferimento dal carcere di Torino a quello di san Vittore dell'altra figlia di don Salvatore, Jonella, oltre che sulla cittadinanza svizzera ottenuta dal fratello Paolo 21 giorni prima del mandato d'arresto. La Cancellieri replica con sdegno anche a quest'accusa. «Favoritismi? Al Dap emerge con chiarezza l'assoluta linearità delle procedure seguite. Mai, dico mai, sono intervenuta su questo caso».
Il ministro non si ferma qui, perché vuole difendere la sua reputazione da ombre per il legame con la famiglia Ligresti, per la quale ha lavorato per un anno anche il figlio Piergiorgio Peluso come manager Fonsai. Parla di «onore offeso» la Guardasigilli: «In nessun modo la mia carriera è stata influenzata da questi e altri rapporti personali: sono una persona libera, che non ha contratto debiti di riconoscenza». L'amicizia con Antonino Ligresti (fratello di Salvatore), spiega, è maturata nella «lunga permanenza a Milano e per ragioni del tutto estranee all'attività professionale». Sul figlio, tirato nella vicenda «indebitamente»: quando ha avuto l'offerta da Fonsai nel 2011 «ero una tranquilla signora in pensione», dice.
Sono gli accenti umani a dare colore al discorso del ministro. Spiega che il fenomeno dei suicidi in carcere è «alto». «E ognuna di queste morti è una sconfitta per lo Stato. Io ne sento tutto il peso». Mario Ferrara di Gal è entusiasta: «Finalmente, un ministro con le palle!».
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