Ha spiato il Colle e processato il Pdl Ma ormai nessuno si scandalizza

Solo Il Fatto e il Fli Granata bacchettano il magistrato, indignati i familiari delle vittime di mafia. Intanto arriva il primo ok del Csm alla discesa in campo

Antonio Ingroia alla presentazione del suo libro "Io So"
Antonio Ingroia alla presentazione del suo libro "Io So"

Qualche voce qua e là. Un editoriale sul Fatto quotidiano del direttore Antonio Padellaro, critico fin dal titolo: «Meglio magistrato che candidato». Un appello di Fabio Granata, uno dei colonnelli di Fini, che lo invita a non attraversare il Rubicone e a non schierarsi. La delusione dell'Associazione vittime di via Georgofili condensata in due parole: «Non apprezziamo». Per il resto, la sempre più probabile discesa in campo di Antonio Ingroia pare non stupire nessuno. E nessuno s'inquieta davanti a un magistrato così conosciuto che si toglie la toga e s'infila una casacca. Siamo in un paese così anormale che sembra normale, a tutti o quasi, che un magistrato, uno dei più noti d'Italia, l'autore di inchieste delicatissime, possa diventare, addirittura il candidato premier del Quarto polo. E firmi un manifesto programmatico, Io ci sto, in cui esprime le dieci tesi politiche del Movimento Arancione.
Il problema lo spiegò a suo tempo Piercamillo Davigo, teorico del pool Mani pulite: il magistrato che si targa, di rosso, azzurro o arancione non fa differenza, può essere paragonato ad un arbitro che decida di mettersi le scarpette e di giocare con una delle due squadre. Obiezione che non ha mai fermato i passaggi e addirittura un fenomeno quasi incredibile come quello del pendolarismo: magistrati che diventano senatori, deputati o governatori e poi, tranquillamente, dopo dieci o quindici anni ritornano a scrivere sentenze o a condurre indagini. Quando Di Pietro saltò il fosso, il clamore fu grande, oggi sembra che la questione riguardi pochi cultori della materia. Certo, la scelta finale non è stata ancora presa e Ingroia potrebbe fermarsi all'ultimo momento. Ma comunque è da settimane che tiene comizi, partecipa a trasmissioni televisive, attacca in modo feroce il berlusconismo su cui pure ha indagato per lunghi anni. Tutto scontato? L'ex procuratore aggiunto di Palermo ha monitorato la nascita di Forza Italia, alla ricerca senza successo del peccato originale, ovvero la collusione con i boss; ha portato a processo Marcello Dell'Utri e pezzi importanti della classe dirigente della Seconda repubblica; ha intercettato perfino il capo dello stato scontrandosi con Giorgio Napolitano davanti alla Corte costituzionale. Ora scopriamo che vorrebbe correre per Palazzo Chigi. Vengono le vertigini e invece la questione scivola come l'acqua sull'indifferenza di intellettuali e opinionisti. Si indigna solo il Pdl Amedeo Labboccetta che sottolinea «la figuraccia internazionale» dell'Italia: in effetti il quasi candidato è appena arrivato in Guatemala per conto dell'Onu. Eccezioni. Intanto, la Quarta commissione ha dato, all'unanimità, parere favorevole all'aspettativa per motivi elettorali. E oggi il plenum dovrebbe dare l'ok definitivo.
Certo, lo stesso plenum potrebbe dare a Ingroia un dispiacere: discuterà se inserire nel suo fascicolo personale la ramanzina dello stesso Consiglio in occasione dell'intervento del magistrato al congresso dei Comunisti italiani. Dettagli. Il pm che più ha fatto parlare di sé negli ultimi anni, vuole giocare in proprio.

Nel partito di Luigi de Magistris, un altro ex. Ed è pronto ad allearsi con Antonio Di Pietro, che pure ha capitalizzato in politica il consenso accumulato con Mani pulite. Davvero, è una storia che si ripete da troppo tempo. E nessuno che si stropicci gli occhi.

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