Hanno premiato il simbolo della casta che odiano di più

diV e l'immaginate Milena Gabanelli al Quirinale? La prima donna della storia della Repubblica italiana tra i corazzieri che scattano sull'attenti al suo passaggio in tailleur executive tra stucchi e tappeti. Sarebbe un po' come vedere Francesco Totti dietro la scrivania della presidenza del Coni. Oppure Roberto Benigni presidente della Rai. Se si vuole inventarsi un gioco di società ci si può divertire. A forza di tripli salti mortali si potrebbe piazzare anche Celentano al ministero dei Beni culturali e Giovanni Floris alla presidenza della Corte costituzionale. Non è bastata la recente esperienza di Battiato assessore al Turismo della regione Sicilia.
A imparare dai fatti c'è sempre tempo. Così i militanti pentastellati son pronti a cogliere al volo l'occasione. Paradosso dei paradossi, le «Quirinarie» online le ha vinte una prestigiosa rappresentante della casta più odiata dall'M5S. Bizzarrie della democrazia telematica. Purtroppo per Grillo e Casaleggio non siamo nella Ginevra di Jean Jacques Rousseau e del «Contratto sociale». Nelle nazioni moderne ci sono i corpi intermedi e una pluralità di soggetti con i quali si è costretti a mediare. Ma nella loro filosofia, se il capo carismatico del movimento è un comico e l'ideologo è uno studioso di tecnologia e astrologia può pure essere che un'ottima giornalista d'inchieste televisive sia proiettata sulla poltrona più alta dell'architettura repubblicana. Diceva lo psicologo canadese Laurence Peter che, a forza di ambizione e carrierismo, la nostra società iper-competitiva tende a catapultare professionisti e funzionari «al livello della propria incompetenza». Non è il caso di Milena Gabanelli. Appreso dell'incolpevole successo al concorso allestito dai grillini per il posto di capo dello Stato, la giornalista ha confessato di sentirsi «commossa ma sopravvalutata». Anche se Grillo parla di «un nome straordinario» invitando Bersani a votarlo in vista di una possibile ripresa della collaborazione, Gabanelli sembra orientata a rinunciare.
Da brava brianzola, il realismo non le difetta. Laureata al Dams di Bologna, un tantino androgina nell'aspetto, è stata tra i primi giornalisti italiani a produrre servizi con videocamera portatile. Si è formata come inviata di guerra soprattutto nella redazione di Mixer di Giovanni Minoli. Fino a staccarsene trasformando Report in una testata autonoma che ora è portata a modello di giornalismo investigativo indipendente. Ne sanno qualcosa schiere di politici, da Tremonti al sindaco di Roma Gianni Alemanno, fino a Di Pietro che ieri non pareva euforico dell'esito del casting grillino.
A differenza di altri colleghi nati e svezzati da Mamma Rai, Gabanelli non ha mai subito l'attrazione della politica. Michele Santoro è stato, come Lilli Gruber, europarlamentare dell'Ulivo e nel febbraio scorso ha depositato il simbolo del Partito liquido.

Piero Badaloni dal Tg1 e Piero Marrazzo da Raitre sono approdati alla presidenza della Regione Lazio con esiti diversamente memorabili. David Sassoli, anche lui dalla conduzione del Tg1, è arrivato all'Europarlamento. Lusinghe a parte, difficile che Gabanelli si lascerà incantare dalle sirene di Grillo.

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