RomaIl Cupolone è lì, subito dopo ponte Vittorio, saranno duecento metri, ma stavolta per Giulio Andreotti non si è mosso nemmeno un cardinale. No, la Curia non c'è. C'è solo monsignor Rino Fisichella, che concelebra con don Luigi Venuti, il parroco di San Giovanni dei Fiorentini, e che si stupisce anche lui per questa freddezza postuma e irriconoscente. Giorgio Napolitano, il primo presidente postcomunista, si è presentato alla camera ardente e ha mandato in chiesa i corazzieri in alta uniforme. Il Vaticano, niente. Soltanto un «ex» come Tarcisio Bertone è apparso per le condoglianze alla famiglia.
Chissà, forse è davvero cambiato tutto se pure di là del Tevere il Divo è tornato a essere Belzebù. Nulla invece è cambiato per l'universo di Zio Giulio, un mondo variegato fatto di notabili Dc, grand-commis, attori, militari, giornalisti, sottobosco misto. Nino Cristofori e Cesare Geronzi, il «generale» dei servizi e Maristela Federici, che ha appena fatto in tempo a cambiarsi d'abito dopo il matrimonio della Marini. In chiesa una bandiera della As Roma e alcuni calciatori della Primavera. Fuori, sul sagrato sventola un vessillo con lo scudocrociato. E la gente, tanta gente che batte le mani, mostra cartelli che inneggiano a Giulio, scatta foto, blocca il traffico. Il Comune ha dovuto persino spostare la fermata dell'autobus.
Vent'anni dopo, come nel romanzo di Dumas, i moschettieri di Zio Giulio nonostante le rughe sembrano tenere botta. Ecco allora Nino Cristofori, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Giuseppe Ciarrapico, Roberto Formigoni, Franco Carraro. Ecco anche i rivali interni di un tempo: Ciriaco De Mita, Emilio Colombo, Arnaldo Forlani, Franco Marini, Rosa Russo Iervolino, Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Nicola Mancino, Beppe Pisanu. Ecco, sparsi tra la folla, Maurizio Lupi, Andrea Riccardi, Sergio D'Antoni, tanto per completare plasticamente quello che resta della Balena Bianca. Ma ci sono anche non dc, come Gianni Letta, Pietro Grasso, Mario Monti, Maurizio Gasparri, Gianni De Michelis.
Si piange e si prega. Ci pensa Clemente Mastella a rovinare l'aria di amarcord. «No - spiega - non vi illudete, non c'è alcuna eredità politica di Andreotti. La solidarietà nazionale? Il paragone non regge. Oggi centrosinistra e centrodestra stanno insieme allegramente, però io non vedo la sinistra, la destra e nemmeno il centro di allora».
Intanto Zio Giulio è in una cassa di legno chiara di fronte all'altare. Quattro chierichetti con la cotta bianca merlata alzano grandi croci d'argento mentre il coro canta in latino l'Agnus Dei e l'Osanna in Excelsis. Ogni domenica dopo la messa Andreotti distribuiva ai senzatetto che lo aspettavano buste con dentro biglietti da cinquantamila lire. Nell'omelia don Lino parla della sua carriera politica, sette volte a Palazzo Chigi, 23 volte ministro, ma soprattutto «del lato umano» di Andreotti. «I poveri gli si accalcavano addosso. Ha frequentato fino a un anno fa, poi ero io a portargli a casa la comunione. L'ultima volta l'ho visto sabato. Non ce la faceva più».
La moglie Livia ha fatto preparare un cuscino di fiori bianchi, Il nipote Luca Danese piange: «Hanno scritto di tutto, ma lui era un uomo buono, che ha fatto del bene a tanta gente. E non era un freddo come sembrava all'esterno, aveva un approccio lieve e dolce anche in famiglia».
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