I "cervelli" tornati in Italia beffati dal governo dei prof

Rientrati con un bando ad hoc, temono di dover partire di nuovo. Ma Profumo non si occupa di loro. E preferisce richiamarne altri

I "cervelli" tornati in Italia beffati dal governo dei prof

I «cervelli» rientrati in Italia due anni fa con il bando intitolato al premio Nobel Rita Levi Montalcini manifestano apertamente rabbia, delusione e amarezza per il governo dei professori. Un silenzio imbarazzante è caduto sui loro contratti in scadenza che non si sa se e come verranno rinnovati. Ma Francesco Profumo pensa solo al futuro. E firma un nuovo bando che dà il via libera ad una tranche di altri rientri di 24 giovani studiosi ora all'estero.
Marco Veneroni, matematico, con esperienze in Olanda, Germania e Canada, mette in guardia: «Questo bando è una mossa tattica non seria: anziché cercare di stabilizzare i cervelli rientrati anni fa, il governo tecnico emana un nuovo bando sotto elezioni. Così io sto già pensando di tornarmene in Canada». Rincara la dose Luca Cerioni, 43 anni, arrivato da Londra, dove ha gettato alle ortiche un incarico di professore associato, un netto di 2600 sterline per uno studio sulla gestione delle grandi aziende. «In questo ultimo anno non è stato fatto nulla. Questi bandi sembrano solo strumentali e frutto di propaganda: visto il disinteresse del governo tecnico nei nostri confronti, aspetto speranzoso le decisioni del nuovo esecutivo».
Il gruppo dei 23 è compatto, si muove sul web, con una rivolta silenziosa ma agguerrita. Come la protesta di Serena Carra. «Non ci dicono nulla sui fondi e sul nostro futuro. Silenzio tombale, indifferenza totale. Abbiamo scritto al ministro Profumo che non ci ha mai risposto». Serena è una specialista in biologia molecolare. Era in Canada, poi si è spostata in Olanda, dove aveva un contratto a tempo indeterminato a 2300 euro al mese, uno staff tecnico fornito dall'università. Per problemi familiari ha deciso di rientrare in Italia e sono cominciate le difficoltà. «Guadagno meno e devo occuparmi anche di prenotare il materiale di laboratorio. E poi devo trovare lo stipendio per gli studenti che mi aiutano nella ricerca, ma peggio ancora, mi manca completamente la certezza di una continuità». Il suo contratto scade nel 2014, ma fin da ora ha bisogno di inviare domande per ottenere i fondi dalle associazioni. E ha le mani legate perché l'Università deve garantire il suo stipendio da ricercatore. L'ateneo aspetta il governo «che non dice nulla sui fondi e sui nostri progetti».
È il gatto che si morde la coda. A spese dei ricercatori. Fabrizio Margaroli, che ha lasciato gli Stati Uniti a fine 2011 e ora divide la sua attività tra la Sapienza e il Cern di Ginevra, aggiunge: «A fine 2013 per tanti di noi scadranno i contratti e nessuno sa dirci nulla. Non abbiamo notizie di stanziamenti e considerati i tempi della burocrazia temiamo che il nostro lavoro vada in fumo». «In Italia - ammette - ci sono tante eccellenze, risorse umane di altissima qualità, ma bisogna fare i conti con una diffusa diffidenza nell'accoglienza e carenze strutturali. Entrambe non facilitano il lavoro. Alcuni colleghi, medici, comprano con i propri soldi le provette, io stesso mi sono dovuto arrangiare con un pc e una cassettiera portati da casa».


La vita del ricercatore è tutta in salita, zeppa di ostacoli. Che spingono chi è rientrato in Italia a tornarsene nelle oasi estere. Che non invogliano gli scienziati emigrati a tornare nel nostro Paese. Soprattutto attraverso un «bando- sirena» confezionato sotto elezioni.

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