RomaTelefono rovente, quello di Alfano. Ieri, il giorno dopo l'annuncio delle dimissioni, Angelino viene preso d'assalto da pezzi di partito. Sono quelli che ce l'hanno con i falchi; quelli che definiscono Verdini, Santanchè, Capezzone e Ghedini «il poker della guerra»; il quartetto reo di aver spinto Berlusconi allo strappo definitivo. Uno dei primi a telefonare al segretario del Pdl è Gaetano Quagliariello che, assieme agli altri ministri, sabato notte, s'era attovagliato con Alfano attorno al dilemma: «E adesso? Che fare?». Una notte di pensieri, di dilemmi, di dubbi amletici: restare in Forza Italia? In mattinata Quagliariello telefona ad Alfano. Lo avvisa di ciò che sta per dire a Piacenza: «Il centrodestra non è quello che s'è espresso ieri». E ancora: «Non so se ci sarà una scissione». Eccolo il nodo: fronda in vista, sì o no? Tutti a cercare Alfano per capire se all'orizzonte potrà esserci lo strappo. E lui, tempestato di chiamate, a un certo punto stacca il telefono: irraggiungibile.
Qualcuno lo tira per la giacca: gli chiedono di mettersi alla guida di una «cosa moderata» e di abbandonare i falchi «che fanno solo male al presidente»; di fare da «calamita» per quelli che non si riconoscono in una Forza Italia a trazione falchista. Chi lo sente lo definisce «tranquillo e sereno» ma il dissidio interno di Angelino è fortissimo. Alle sue orecchie già ronzano le accuse di tradimento e di complicità con il nemico; mentre i suoi tifosi, Maurizio Lupi in testa, gli chiedono un gesto forte. Proprio Lupi lo sprona: «Angelino, mettiti in gioco per questa buona e giusta battaglia». Battaglia tutta interna. Alfano non può rimanere in silenzio anche se qualcuno legge già una sua uscita nelle parole dell'altro ministro vicinissimo ad Alfano, Bea Lorenzin. «Non giustifico né condivido la linea di chi lo consiglia in queste ore. E non farò parte di questa Forza Italia», azzarda la ministra.
Nel partito in tanti leggono il pensiero di Angelino. Che a questo punto deve intervenire. Così, il segretario del Pdl detta una nota in cui riconferma la fedeltà a suo padre politico ma minaccia una sorta di fronda interna: «La mia lealtà al presidente Berlusconi è longeva e a prova di bomba - giura - Oggi la lealtà mi impone di dire che non possono prevalere posizioni estremistiche estranee alla nostra storia, ai nostri valori e al comune sentire del nostro popolo». Quindi, ecco l'avvertimento: «Se prevarranno quegli intendimenti, il sogno di una nuova Forza Italia non si avvererà. So bene che quelle posizioni sono interpretate da nuovi berlusconiani ma, se sono quelli i nuovi berlusconiani, io sarò diversamente berlusconiano».
È una guerra intestina che durante il giorno si combatte a suon di agenzie di stampa e che a tratti raggiunge livelli di guardia. Ma al di là degli schieramenti e delle divisioni ornitologiche, è lo stesso Berlusconi che predica - anzi pretende - unità. «Non dobbiamo né possiamo dividerci» è il messaggio che rivolge a tutti. Si cerca la sintesi, evocata da Osvaldo Napoli: «Sono convinto che alla fine potremmo continuare a essere berlusconiani senza bisogno di sentirci diversamente berlusconiani». La febbre scissionista cala con le ore.
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