I grillini cedono al fascino della casta. E in Friuli si oppongono all'abolizione del vitalizio, «un istituto previdenziale che equipara i politici ai normali lavoratori».
La lotta ai privilegi? Giusta e sacrosanta, quando i privilegi sono quelli degli altri. Gli eletti del Movimento 5 Stelle, una volta messo piede nei santuari della politica, hanno imparato in fretta la lezione. Almeno in Friuli Venezia Giulia, dove i pentastellati si sono schierati a difesa del vitalizio dei consiglieri regionali. Risultato? Il centrosinistra, che la soppressione dell'istituto l'aveva sbandierata in campagna elettorale, s'è spaccato. E la presidente della Regione, Debora Serracchiani, ne è uscita con l'immagine a pezzi, anche se per il momento l'intesa tiene.
Tutto è accaduto in seno alla Prima Commissione, quella che si occupa di finanze e bilancio, chiamata a esprimersi sulla proposta di legge recante disposizioni «in materia di trattamento economico dei consiglieri e degli assessori regionali». Al suo interno, l'articolo 33 recita secco: «Abolizione dell'istituto dell'assegno vitalizio». In Friuli, fino alla passata legislatura, ciascun consigliere regionale versava all'ente di previdenza il 19% dei propri compensi, ovvero 1.750 euro al mese. La Regione metteva il resto. E già a 60 anni si aveva diritto a riscuotere una cedola mensile di 2.048 euro (lordi). In seguito la soglia d'età per iniziare a godere del vitalizio è stata innalzata a 66 anni e sono stati modificati i criteri di contribuzione: adesso si versa l'8,80% dell'indennità (905 euro sui 10.291,93 lordi), con la Regione che corrisponde 2.490 euro, il 24,20%, sulla scorta dei parametri Inps. E l'assegno mensile, quando matura, non supera gli 850 euro mensili lordi. Il fatto è che del vitalizio possono godere tutti, anche i consiglieri rimasti in carica per un solo mandato. Un'anomalia rispetto alla quale, neppure un mese fa, sul blog del capo supremo Beppe Grillo i Cinquestelle friulani annunciavano d'aver presentato, nell'ambito di «un pacchetto di azioni per tagliare i costi della politica», la «rinuncia al vitalizio».
In Commissione, però, la musica è cambiata. E la capogruppo grillina Elena Bianchi ha innestato la retromarcia. «Il vitalizio, così come vige attualmente - ha spiegato ai cronisti incuriositi dal ripensamento - è equiparato a quello dei normali lavoratori. Nulla di strano. La Serracchiani punta a tagliare i costi del 50%, mantenendo alti gli stipendi. Noi preferiamo conservare un istituto previdenziale piuttosto che ricevere 3.500 euro al mese di spese di rappresentanza».
Un consigliere del Pd e uno di Sel le hanno dato fiducia, disattendendo la linea di partito.
Alla fine, a fatica, la Commissione ha dato il via libera al progetto di legge, ma il presidente Renzo Liva, nello scarno verbale ufficiale, non ha potuto fare a meno di segnalare, sconsolato, che «nel corso dell'articolata discussione è emersa l'esigenza di approfondire alcuni aspetti sulle conseguenze derivanti dall'abolizione del vitalizio».La casta? C'è ancora. Adesso è a cinque stelle.
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