All'estero lo considerano il nuovo portavoce del design italiano: Just one Nichetto, come titola il magazine del Financial Times (che gli ha appena dedicato 4 pagine). Ma Luca Nichetto è tutto fuorché una design star: «Personaggio io? Preferisco che siano i miei progetti a parlare!». Classe '76, veneziano di nascita, uno studio a Venezia e uno a Stoccolma, ha disegnato prodotti cult come «O Space», lampada-icona di Foscarini, e «La Mise», divano «sartoriale» di Cassina. E mentre i brand più importanti se lo contendono, lui continua a girare il mondo e a incanalare il suo talento in mille progetti: dalla collezione disegnata a 4 mani con Nendo, al primo progetto di architettura per la design week di Pechino. E un unico obiettivo: aiutare la gente a star bene. Perché «il design non è solo una bella sedia».
Ha fatto molta gavetta per arrivare dov'è?
«Sono stato abbastanza fortunato, ho avuto da subito l'opportunità di lavorare con aziende note. Sono nato e cresciuto a Murano, Venezia, mio nonno era mastro vetraio, mia mamma decoratrice, crescere in un ambiente creativo mi ha aiutato. Quando studiavo all'istituto d'arte di Venezia, a fine anno preparavamo una cartellina piena di disegni per venderli alle aziende. All'università (Disegno Industriale ndr) ho continuato: quando andai da Salviati, Simon Moore comprò tutti i bozzetti! Allora c'erano Ingo Maurer, Tom Dixon, Anish Kapoor: vederli al lavoro è stata una palestra pazzesca. Dopo un anno riuscii a disegnare il mio primo vaso! Fu subito un best seller
».
Oggi è più difficile lavorare in Italia?
«Sento parlare di crisi dal 2000, ma lavorare in Italia è sempre stato difficile. Se riesci ad affermarti qui lavori ovunque. All'estero c'è progettualità, si cerca di lasciare qualcosa a chi ci sarà dopo, in Italia no».
Non l'hanno fatto i grandi maestri?
«I designer italiani conosciuti all'estero sono pochi proprio per questa mancanza. Ettore Sottsass è stato l'unico a creare una scuola. Neanche la generazione di mezzo, quella dei Citterio e dei Lissoni l'ha fatto. E le istituzioni ti promuovono solo se sei già emerso».
Dove bisogna andare per emergere?
«In Europa chi promuove al meglio i giovani sono Francia e Inghilterra: la prima investe di più in cultura, la seconda è il Paese più potente per stampa e comunicazione».
Ma non ci sono troppi designer in giro?
«Oggi tutti vogliono studiare design e vogliono lavorare per le stesse aziende! Però non c'è domanda, il rischio è saturare il mercato e abbassare il livello. Negli anni '50 c'è stato il boom del design perché la gente voleva vivere meglio. Oggi bisogna toccare l'ambito sociale».
Esempi?
«Per la design week di Pechino ho disegnato e prodotto una piccola panca, e ho chiesto che rimanesse dove l'avevo messa: in un'area rurale vicino a piazza Tienanmen, ora è usata dalla gente che qui vive ancora come 2 secoli fa. È assurdo che le archistar costruiscano i super-bulding che non si sposano con l'ambiente architettonico e sociale! Bisogna prima far capire come aiutare la gente a star bene, poi spiegare perché è importante avere quella sedia e non la copia».
Cosa va di moda oggi?
«La parola moda per me è come l'aglio per i vampiri! Il design segue la moda per correre dietro al profitto, e finisce per diventare come il pret-a-porter, stagionale: questo sistema crea una sovraproduzione, che non dà tempo di creare visibilità per il prodotto».
E poi oggi la gente compra meno.
«È la classe media che ha permesso al design italiano di crescere. Adesso che si è divisa in classe medio alta e medio bassa, il terreno fertile per il design non c'è più e il mercato si è ristretto. Molti però iniziano a fare prodotti mirati alla classe media che se li può permettere: non più il divano da 10mila euro ma da 2mila».
Il Salone del Mobile di Milano conta ancora?
«Avrà sempre un peso a livello internazionale, per la sua energia, l'entusiasmo, la voglia di scambiare opinioni, la gente che arriva da tutto il pianeta, è la settimana più interessante al mondo! Poi però, finito il Salone, scompare tutto. Manca un progetto a lungo termine, per sviluppare zone o spazi in declino ad esempio».
Lei invece che progetti ha?
«Continuo a
Luca Nichetto
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