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I magistrati aprono il fuoco Unipol, un anno a Berlusconi

Condanna per la pubblicazione sul "Giornale" dell'intercettazione Consorte-Fassino. Per lo stesso reato due anni e due mesi al fratello Paolo, assolto dalle accuse più gravi

I magistrati aprono il fuoco Unipol, un anno a Berlusconi

Milano Se il buongiorno si vede dal mattino, allora per il Cavaliere saranno dolori. Il marzo di fuoco di Silvio Berlusconi nel palazzo di giustizia di Milano inizia con la condanna che - nel tris di verdetti in programma da qui a fine mese - era data per meno probabile. La quarta sezione penale del tribunale infligge all'ex presidente del Consiglio un anno di carcere per concorso in rivelazione di segreto d'ufficio per la vicenda dell'intercettazione Fassino-Consorte pubblicata sul Giornale nel dicembre 2005.

È l'ormai famosa chiacchierata in cui l'allora leader diessino celebrava trionfalmente («Abbiamo una banca!») la conquista della Banca nazionale del lavoro da parte della assicurazione rossa Unipol. A passare al Giornale il file audio con il dialogo scottante furono - si è scoperto dopo - il titolare della ditta che aveva l'appalto delle intercettazioni Roberto Raffaelli e il suo amico Fabrizio Favata, divenuto poi teste d'accusa. La sentenza di ieri dice che Silvio Berlusconi fu corresponsabile della fuga di notizie, insieme a suo fratello Paolo che viene condannato a due anni e due mesi di carcere per l'aggravante della recidiva.

Per Paolo Berlusconi («Sono soddisfatto per essere stato assolto dalle accuse più infamanti, ma sono innocente») la sentenza ha anche un ampio coté positivo per la presunta ricettazione e il millantato credito in una vicenda di appalti in Romania. Su questo versante il superteste - che narrava di avere consegnato buste in contanti ogni mese negli uffici di Berlusconi junior - evidentemente non viene creduto, e infatti la sentenza assolve l'editore del Giornale perché «il fatto non sussiste». Ma Raffaelli viene invece giudicato credibile quando accusa Silvio Berlusconi, fornendo una sua versione dei fatti che si sostanza, alla fine, in una parola sola: «Caspita». Così il Cavaliere avrebbe reagito all'ascolto della telefonata. Pochi giorni dopo, l'urrah di Fassino finì in prima pagina sul Giornale.

La sentenza di ieri è destinata a risultare quasi simbolica, perché il prossimo settembre il reato si dissolverà nelle nebbie della prescrizione: e la sola conseguenza per i fratelli Berlusconi resteranno gli 80mila euro di risarcimento da versare a Piero Fassino, che si era costituito parte civile chiedendo un milione. Ma il colpo è comunque doloroso perché da questo processo, ben più che dal caso Ruby e dalla vicenda dei diritti tv, Silvio Berlusconi si aspettava di uscire assolto. Se non altro perché la stessa Procura al termine delle indagini preliminari aveva chiesto la archiviazione della sua posizione, scrivendo testualmente che «non vi è stato un consenso/autorizzazione/via libera alla pubblicazione da parte di Silvio Berlusconi, né esplicito né implicito».

Ma quella richiesta di archiviazione si andò a infrangere contro la decisione di un giudice preliminare, Stefania Donadeo, sulla cui falsariga si muove la sentenza di ieri. Al Cavaliere veniva attribuito un concorso morale nella fuga di notizie: «Unico interessato alla pubblicazione della notizia riguardante un avversario politico era proprio il destinatario del regalo, Silvio Berlusconi, stante l'approssimarsi delle elezioni politiche. Tale notizia avrebbe leso, così come è stato, l'immagine di Piero Fassino. La pubblicazione della notizia proprio dopo e solo dopo l'ascolto da parte di Silvio Berlusconi, i ringraziamenti seguiti da parte di Silvio Berlusconi, costituiscono dati di fatto storicamente provati».

«Berlusconi Silvio ascolta la conversazione e la sua reazione davanti alla rivelazione da parte di un incaricato di pubblico servizio di una notizia coperta da segreto d'ufficio e riguardante un esponente politico non è di approvazione bensì di compiacimento e di riconoscenza».

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