nostro inviato a Cernobbio (Como)
«È una tachipirina, ma l'influenza non è passata». Il numero uno per l'Italia di una grande banca americana la mette giù un po' dura. Ma per il mondo della finanza la mossa anti spread di Mario Draghi - cioè l'acquisto illimitato di titoli governativi Ue a breve scadenza da parte della Bce - non è la mossa salvifica che consentirà ai mercati di lasciarsi alle spalle i tempi bui della recessione. Al contrario, tra gli imprenditori e i manager presenti al Workshop Ambrosetti di Villa d'Este si è decisamente più ottimisti.
«Molto bene Draghi!». L'amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano, è soddisfatto perché il piano della Bce è «quello di cui avevamo bisogno, un messaggio di stabilizzazione» perché «si passa dalla discussione all'azione e tutti ne beneficeranno, non solo i paesi periferici dell'area euro come Italia e Spagna ma anche quelli dell'Europa centrale», cioè la scettica e riottosa Germania.
E l'incognita tedesca è quella che impedisce all'equazione «acquisto Bond sovrani uguale ripresa dei mercati» di essere definitivamente risolta. «Io sono ottimista - dice Marco Samaja, direttore generale di Lazard Italia - e non considero l'acquisto di Bond un palliativo, però occorrerà vedere se la Bundesbank porrà delle condizioni, le incertezze attengono proprio a questo discorso». Sulla stessa lunghezza d'onda anche Giancarlo Aliberti, direttore del fondo Apax Partners. «Ci voleva qualcosa che cambiasse l'orientamento del mercato, ma bisogna vedere se funzionerà».
Insomma, come ha sintetizzato l'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, «la palla è nelle mani dei governi, ma quella della Bce è stata una mossa intelligente: se i mercati si rasserenano, le banche potranno aumentare il credito a imprese e famiglie». Una considerazione condivisa anche dal capo di Intesa Sanpaolo, Enrico Tomaso Cucchiani, secondo cui «sarebbe sbagliato» ritenere che il piano di Draghi «possa essere una panacea» perché «la soluzione richiede che si acceleri verso un'integrazione economica ed eventualmente politica».
È arrivato, perciò, il momento di «fare i compiti a casa», osserva il presidente di Brembo, Alberto Bombassei, perché «se da un lato bisogna registrare come un segnale positivo l'essere riusciti a tutelare gli interessi della maggioranza degli europei, dall'altro lato ci sono problemi che aspettano ancora di essere risolti». Insomma, l'ex vicepresidente di Confindustria più che il pericolo tedesco teme che l'Italia possa esaurire lo slancio riformista superata la fase di emergenza più acuta.
Meno ottimista l'amministratore delegato di Alliance Boots (colosso della farmaceutica), Ornella Barra. «È solo una pausa: la tempesta non è finita perché non credo nei miracoli», spiega. «Quello che servirebbe soprattutto in Italia - aggiunge - è un clima non ostile sia fiscalmente che intellettualmente nei confronti delle imprese». Una circostanza che un altro grande banchiere internazionale cerca di argomentare dal punto di vista tecnico. «Grazie a Draghi e alla Bce - sottolinea - avranno qualche sollievo i paesi che hanno incontrato difficoltà a offrire i propri titoli sui mercati a causa dello spread elevato, ma questo non risolve gli squilibri di politica fiscale ed economica che continuano a esserci nell'area dell'euro».
«'A nuttata non è passata, siamo solo alle undici di sera», osserva Paolo Merloni, presidente di Ariston Thermo ed esponente di una dinastia del capitalismo famigliare italiano.
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