I pm ammettono l'errore: "Non è lui il killer". Ma De Luise resta in cella

Condannato a ventidue anni, da sei è detenuto Eppure la stessa procura di Napoli ha chiesto la revisione del processo

I pm ammettono l'errore: "Non è lui il killer". Ma De Luise resta in cella

Questa è una storia dramma­ti­ca che parla di vicende le­gate alla criminalità orga­nizzata, alla camorra, al traffico di stupefacenti e alle guerre tra faide a Napoli. Una storia che ha come sfondo il profilo peggiore di questa nostra Italia incorniciato nell'incantevole paesaggio parte­nopeo.
Questa è anche la storia di un uo­mo, Giovanni De Luise difeso dall' avvocato Carlo Fabbozzo, prima ac­cusato di essere l'omicida di Massi­mo Marino e poi scagionato dalla stessa procura della Repubblica di Napoli con i pubblici ministeri Le­pore e Castaldi ma ancora oggi do­po otto anni in carcere a Lecce.
La faida vedeva coinvolti alcuni clan camorristici facenti riferime­n­to ai gruppi dei Di Lauro di via Cupa dell'Arco a Secondigliano e degli scissionisti capeggiati dal boss Raf­faele Amato. Era la faida di Scam­pia che da ottobre del 2004 a febbra­io 2005 vide lo svolgersi di una vera e propria mattanza quotidiana a ogni ora del giorno, tra folle terroriz­zate, con l'obiettivo del controllo del traffico di droga. Centinaia di vittime insanguinarono le strade di Scampia; uomini dei clan, familiari in parte vicini alle cosche ma anche vittime innocenti.
Colpire gli innocenti faceva parte di una strategia ben precisa già adottata dalla «Nuova camorra or­ganizzata » di Raffaele Cutolo tesa a costringere gli avversari ad uscire allo scoperto. La faida di Scampia ha inizio il 28 ottobre del 2004 e ha come vittime Fulvio Montanino e Claudio Salerno uccisi dagli scissio­nisti. Poi quotidianamente si spara e si uccide per strada, nelle piazze; cadono tre marescialli dei carabi­nieri­che camminavano in borghe­se nelle vie di Scampia e che furono
scambiati per membri di un grup­po rivale. Clamoroso fu il 7 dicem­bre del 2004, quando alle quattro del mattino circa mille uomini del­le forze dell'ordine circondarono Scampia e Secondigliano catturan­do con cinquantun ordini di custo­dia cautelare decine di malavitosi. In quell'occasione le donne del rio­ne «terzo mondo» scesero in piazza aggredendo i poliziotti.
Pochi giorni dopo, l'11 dicembre al­le 16.44 nella Strada Casavatore, fu ucciso Massimo Marino, innocente cugino di Gennaro Marino, ras degli scissionisti. L'omicidio di Massimo Marino per gli investigatori era la ri­sposta dei Di Lauro all'uccisione, av­venuta tre ore prima di Antonio de Luise finito nel mirino degli scissio­nisti. La svolta per queste indagini avviene attraverso le intercettazioni telefoniche. Infatti i carabinieri del­la Dda mettono cimici ovunque per combattere la drammatica faida ca­morristica. Ed è grazie ad una in­tercettazione fat­ta alla sorella di Massimo Mari­no, Cinzia, che i carabinieri arre­stano Giovanni DeLuiseincensu­rat­ofratellodiAn­tonio anche lui vittima della mat­tanza quotidiana.
Cinzia Marino, di­sperata all'obitorio di fronte alla sal­ma del fratello, rivolgendosi a un' amica vede la sagoma di Giovanni De Luise e lo riconosce come il killer del fratello. Giovanni de Luise, fino a quel momento incensurato spedi­zioniere di ventitré anni fu arrestato; movente e testimonianze non lascia­vano spazio ad interpretazioni, era lui l'assassino di Massimo Marino.
Giovanni De Luise viene condanna­to a 22 anni di carcere in via definiti­va. Anche durante il processo le di­chiarazioni testimoniali di Cinzia
Marino, sorella della vittima, sono drammatiche e inconsuete. Infatti durante il dibattimento la donna, nell'aula della Corte d'Assise, guar­dando negli occhi Giovanni De Lui­se lo accusa dell'omicidio del fratel­lo.
Cinzia Marino diventa una teste pro­tetta e, in un mondo fatto di omertà, le sue dichiarazioni a viso scoperto appaiono coraggiose e di esempio. Da quel dicembre del 2004 De Luise passa sei anni in carcere, dichiaran­do sempre la propria innocenza, fi­no a quando, all'inizio del 2010, spuntano altri due collaboratori di giustizia; Antonio Prestieri e Anto­nio Pica. Questi, durante un interro­gatorio coperto da omissis, scagio­na­no Giovanni De Luise dall'omici­dio di Massimo Marino. Le dichiara­zioni sono così attendibili che è la stessa Procura di Napoli nel nome del procuratore Giandomenico Le­pore e Stefania Castoldi, a firmare l'istanza di revisione del processo. Un fatto storico, importante e di grande civiltà il mea culpa della Pro­cura che ricono­scendo un errore
cerca di porne ri­medio. Tutto que­sto avveniva nell' aprile del 2010.
Oggi a due anni e mezzo da quell' ammissionedier­rore Giovanni De
Luise è ancora de­tenuto nel carce­re di Lecce in attesa di giudizio. Non mi sento di esprimere alcun giudi­zio se non quello positivo nei con­fronti di quei pubblici ministeri che cercano di porre rimedio a un errore giudiziario.


Lasciatemi però la possibilità di ri­manere perplesso su un andamen­to giudiziario che vede, a due anni e mezzo dalla richiesta di revisione del processo fatta dalla procura di Napoli, una persona ancora detenu­ta.

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