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I tre giorni di Berlusconi: ora silenzio, devo decidere

Il Cavaliere ha bisogno di tem­po: "Due o tre giorni di rifles­sione per decidere il da farsi"

I tre giorni di Berlusconi: ora silenzio, devo decidere

Il giorno dopo la presa di posizione di Giorgio Napo­litano il Cavaliere decide di seguire la strada del silen­zio. Non solo perché da Arco­re non arriva alcuna replica uf­ficiale allo spiraglio aperto dal Quirinale, ma pure perché la linea che Silvio Berlusconi det­ta ai suoi è esattamente quella di dichiarare il meno possibi­le. Non a caso, le esternazioni di parlamentari del Pdl sulla nota del Colle si contano sulla dita di una mano e a qualcuno tocca pure beccarsi la raman­zina dell’ex premier che ieri mattina pare non fosse pro­priamente di ottimo umore.
Il Cavaliere, questo confida in privato, ha bisogno di tem­po. «Due o tre giorni di rifles­sione per decidere il da farsi», spiegava ieri al telefono con un parlamentare. Già, perché se la trattativa con il Colle sul­la grazia è già in fase avanzata e se pure gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi han­no iniziato a lavorare su un’eventuale richiesta la deci­sione finale non è stata ancora presa. Già, perché seppure Na­poli­tano ha preso atto della ec­cezionalità della situazione e ha riconosciuto al Cavaliere la sua leadership politica, resta aperto il problema della deca­denza di Berlusconi da senato­re. Non un dettaglio, non solo sotto il profilo strettamente politico e d’immagine,ma an­che dal punto di vista pratico. Perché se mai Berlusconi do­vesse perdere l’immunità par­lamentare la sua convinzione è che «nell’arco di pochi gior­ni verrebbero a bussare alla mia porta i pm di mezza Ita­lia », non solo «quelli che usa­no la toga per fare attività poli­tica » ma pure quei magistrati che «per un titolo di giornale sono pronti a tutto». Senza lo scudo, insomma, quello che il leader del Pdl definisce senza mezzi termini «una persecu­zione giudiziaria» non avreb­be più un freno.
Ed è questo uno dei veri ti­mori del Cavaliere. Che pur non mettendo in discussione il governo guidato da Enrico Letta («non saremo noi a farlo cadere», continua a ripetere non solo alle colombe ma pu­re ai falchi più agguerriti) non nasconde che la questione po­trebbe avere delle conseguen­ze per la tenuta della maggio­ranza. «Come si fa stare al go­verno con chi vota per farmi decadere da parlamentare?», ripete Berlusconi da giorni ai suoi interlocutori. Già, per­ché gli occhi sono puntati sul­la giunta per le elezioni del Se­nato che si riunirà nella secon­da metà di settembre. E dove sarà messo all’ordine del gior­no il voto per far decadere da senatore il Cavaliere. Il M5S in particolare spinge per affretta­re i tempi e il Pd lo segue a ruo­ta.
È chiaro, però, che se davve­ro si arrivasse a un simile voto il livello di tensione all’inter­no della maggioranza rischie­rebbe di andare oltre la soglia di sicurezza e questo lo sa be­ne anche Enrico Letta. Ecco perché i pontieri - sia sul fron­te Pdl, sia su quello Pd - sono al lavoro per cercare una me­diazione. L’idea sarebbe quel­la di provare a rinviare il voto in giunta di qualche mese, ma­gari chiedendo approfondi­menti sulla legge Severino.

A quel punto, a novembre o di­cembre, potrebbe essere già intervenuta la grazia che forse aiuterebbe a smussare in qual­che modo gli animi ( non tanto tra i grilli, quanto nel Pd).

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