Milano - I veleni della Procura di Milano adesso fermano i processi. Ieri, il primo a impiantarsi a un passo dal traguardo è stato il processo a carico del presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, uno dei filoni di inchiesta su cui il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha denunciato di avere subito le ingerenze del procuratore Edmondo Bruti Liberati: invece di dare la parola al pm per la requisitoria e ai difensori per le arringhe, il giudice ha sospeso tutto, in attesa che la Cassazione si esprima sulla richiesta dei legali di Podestà di spostare il caso a Brescia, a distanza di sicurezza dalle faide intestine che agitano il palazzo di giustizia milanese. Sarà la Cassazione a decidere se a Milano ci sia ancora la serenità per fare giustizia in vicende dove le doverose indagini su notizie di reato si sono intrecciate in un viluppo di manovre, condizionamenti, pressioni in nome della ragion politica. Fino ad allora, bocce ferme. Per Podestà, accusato di avere commissionato centinaia di firme false a sostegno delle liste elettorali per le elezioni regionali del 2010, il momento del giudizio si rinvia di chissà quanto.
Per ora Podestà è il primo a partire all'attacco, attraverso il suo legale Gaetano Pecorella. Non si muovono i protagonisti degli altri casi eclatanti finiti al centro degli esposti di Robledo al Csm: come Silvio Berlusconi, condannato in primo grado per il caso Ruby, al termine di una inchiesta condotta da Ilda Boccassini - secondo Robledo, ma anche secondo altre autorevoli testimonianze - fuori da qualunque regola di competenza; e non si muove Roberto Formigoni, ex governatore, sotto processo per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, e di cui Robledo ha denunciato la tardiva iscrizione nel registro degli indagati. Ma sia i legali del Cavaliere che quelli di Formigoni guardano con inevitabile interesse a quanto accadrà in Cassazione. Se l'istanza di Podestà venisse accolta, a quel punto anche per gli altri processi si aprirebbe una autostrada in direzione Brescia.
La richiesta di fermare tutto era stata presentata la settimana scorsa dal professor Pecorella. Nel suo ricorso, il difensore dell'esponente forzista ripercorreva i passaggi iniziali dell'inchiesta, quando il primo esposto di alcuni esponenti radicali sulle irregolarità nelle liste era stato preso in carico da Edmondo Bruti Liberati, che - dopo avere ritenuto indimostrabili le accuse - aveva chiesto e ottenuto la sua archiviazione. La nuova indagine aperta da Robledo contro il parere di Bruti costituirebbe, secondo Pecorella, un doppione inammissibile. «Risulta evidente la mancanza di coordinamento se non il contrasto tra i magistrati firmatari delle due iscrizioni», si legge nella istanza di Pecorella. Ma soprattutto il difensore del presidente della Provincia colloca il «caso Podestà» all'interno delle manovre di gruppi e di correnti in cui è spaccata la Procura milanese, e che le audizioni di questi giorni davanti al Csm hanno reso di dominio pubblico: il «caso Milano», si legge, «ha in soli due mesi travalicato il limite del confronto tra i magistrati coinvolgendo le correnti in seno alla magistratura».
E ancora: «È apparso evidente il quadro politico in cui si inserisce la vicenda Podestà: uno scontro non solo tra due magistrati ma tra le correnti interne alla magistratura». Da qui nascerebbe il «legittimo sospetto» che anche la sentenza sarebbe condizionata, come le indagini preliminari, da spaccature che attraversano verticalmente la magistratura milanese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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