Descrivere un Silvio Berlusconi «perplesso» è, a voler esser buoni, un eufemismo. In questi giorni, infatti, da quel di Arcore il leader di Forza Italia guarda con crescente diffidenza il dibattito in corso sulle riforme. Non perché non lo convinca il merito della questione, assicura l'ex premier a chi ha occasione di sentirlo nelle ultime 48 ore. Quanto per come si stanno muovendo le cose intorno ad un'intesa che nel Pd danno ormai per chiusa. Lo dice in chiaro il vicesegretario democrat Lorenzo Guerini («l'accordo con Forza Italia terrà»), lo ripete in privato da settimane Matteo Renzi, convinto che alla fine Berlusconi non possa «fare troppe storie» altrimenti «si torna al voto».
L'ex premier, invece, qualche dubbio ce l'ha. Intanto per quello che considera il riacutizzarsi della stretta giudiziaria su diversi fronti: dal processo Ruby, il cui secondo grado arriverà a sentenza in meno di un mese visto che già il 18 luglio si riunirà la Camera di consiglio, alla decisione della procura di Napoli che oggi potrebbe incriminarlo per oltraggio alla Corte. Insomma è il senso dei ragionamenti di Berlusconi da una parte «mi trattano come un delinquente» e dall'altra «mi chiedono di sedermi al tavolo per riscrivere la Costituzione». Una considerazione, questa, che il leader di Forza Italia ha ripetuto più volte ai suoi interlocutori in questi ultimi mesi. Quasi a voler dire «o l'una o l'altra», a intendere che se «sono l'interlocutore principe per un passaggio epocale come le riforme istituzionali» allora «non sono il delinquente che descrivono». Concetto su cui insiste l'ex premier, nel timore neanche tanto velato che il disegno sia ancora quello di arrivare alla revoca dei servizi sociali prima e al carcere poi.
Ma Berlusconi in queste ultime ore qualche dubbio lo nutre anche sul dibattito in corso, in primo luogo sulla querelle che si è aperta sulla norma che prevede l'immunità per gli inquilini di quello che sarà il nuovo Senato. Lo scaricabarile di ieri, quasi a lasciare intendere che a spingere per la modifica sia stata Forza Italia, non è infatti piaciuto all'ex premier. Non è un caso, dunque, che dopo la presa di distanza del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi («il governo non la voleva») sia Paolo Romani a dire senza mezzi termini che Forza Italia è «contraria» all'immunità per i senatori. Secondo il capogruppo azzurro al Senato, infatti, l'argomento non è mai stato «materia di confronto» negli incontri con la Boschi e la modifica ha una madre e un padre ben precisi: Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega). Che dalla loro hanno un dossier sulle riforme redatto dall'Ufficio studi di Palazzo Madama secondo cui bisogna «approfondire» l'abrogazione dell'immunità parlamentare per i senatori perché introdurrebbe una «non marginale differenziazione» tra deputati e senatori oltre a ridurre le prerogative degli ex presidenti della Repubblica (che diventano di diritto senatori a vita).
Una «polemica strumentale», dice Daniela Santanché, convinta che il punto centrale sia «l'abbattimento del bicameralismo perfetto». Nel frattempo, però, proprio sull'immunità il M5S apre un intenso fuoco di fila (così da innalzare l'asticella in vista del vertice sulle riforme di dopodomani con il Pd).
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