Inchiesta sui derivati, è giallo su un dossier «sparito»

MilanoProprio mentre Gabriele Albertini scalda i motori per correre alle elezioni regionali con la sua lista - si chiamerà «Lombardia Civica» - sull'ex sindaco di Milano si addensano bruscamente le ombre di una vicenda giudiziaria. Albertini non è indagato, anzi è stato lui, con una sua iniziativa, ad innescare il meccanismo. Ma ora, come spesso accade, l'inchiesta vive di vita propria. E potrebbe alla fine causare qualche grattacapo proprio ad Albertini, che da vittima potrebbe ritrovarsi indagato.
Tutto ruota intorno all'inchiesta sui «derivati», i prodotti finanziari cui nel giugno 2005 la giunta di Albertini decise di fare ricorso per alleggerire il peso dell'esposizione bancaria sul bilancio comunale. Per quella vicenda, sono sotto processo per truffa dirigenti del Comune e funzionari dei quattro colossi bancari. Ad Albertini non è mai stato contestato nulla, ma l'ex sindaco si è sempre fatto un punto d'onore di avere agito, anche in quell'occasione, con l'oculatezza del bravo «amministratore di condominio».
E qui nascono i problemi. Il 2 novembre 2011 Albertini viene interrogato come testimone nell'aula del processo, e sostiene che la convenienza dell'operazione venne certificata da uno studio interno degli uffici comunali. Quando il pm Alfredo Robledo gli ribatte che agli atti del processo di un parere simile non c'è traccia si inalbera: sostiene che il documento è stato fatto sparire, e questo è un nuovo reato «su cui - protesta - la Procura non ha indagato». «Il documento sicuramente esisteva, e se negli uffici del Comune non si trova più vuol dire che qualcuno lo ha fatto sparire». Chi sarà stato? «Io non ne ho idea, dovrebbe essere la Procura a scoprirlo».
Ma la Procura non apre nessuna inchiesta sulla presunta sparizione. Albertini, cui la cosa evidentemente non va giù, prepara una lettera per il giudice che sta celebrando il processo, Oscar Magi, rincarando la dose: «ritengo impossibile, con certezza assoluta, che non sia agli atti tale documentazione, a meno che la stessa non sia stata fatta dolosamente sparire in fase istruttoria, avendo il pm dichiarato di non averla mai vista nel corso delle indagini». Albertini scrive la lettera ma non la deposita, per evitare che posa creare danni ai suoi ex collaboratori che siedono sul banco degli imputati. Il 19 luglio, Robledo pronuncia le sue richieste conclusive. Il 2 ottobre, Albertini invia la sua memoria al giudice Magi.
«Alla fantasiosa ipotesi fornita dal pm sulla insistenze ab initio di tale valutazione di convenienza», Albertini non crede affatto. E ipotizza apertamente che una manona abbia fatto sparire la carta che dimostrerebbe la sua piena diligenza.
Il giudice Magi trasmette la lettera di Albertini alla Procura, e il capo Edmondo Bruti Liberati apre un fascicolo nel cosiddetto «modello 45», inchieste esplorative senza ipotesi di reato, ma poi trasferisce tutto alla Procura di Brescia, che è competente per i reati commessi o subìti da magistrati milanesi. Delle due l'una, insomma. O la Procura di Milano ha fatto sparire le prove che scagionavano il Comune. O Albertini sta calunniando il pm Robledo.

Fino a quando a Milano non sarà stata pronunciata la sentenza nel processo principale, prevista verso Natale, non accadrà nulla. Poi però la Procura di Brescia qualcosa dovrà fare. E lì, nel pieno della campagna elettorale, si capirà se quello di Albertini è stato un gol o un autogol.

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