Inchiesta sulle tangenti Altri guai per Boni

I verbali degli accusatori del presidente del Consiglio lombardo sotto inchiesta nper corruzione. "Per fare affari si passava da lui. Sostema di spartizione"

Inchiesta sulle tangenti Altri guai per Boni

Milano - Si delineano i contorni di un «sistema» di spartizione delle mazzette tra Lega e Forza Italia, a Cassano d’Adda ma non solo, dal deposito, al tribunale del Riesame, degli interrogatori degli accusatori del presidente del Consiglio lombardo del Carroccio, Davide Boni. E nel frattempo, in Regione, va in scena il teatro dell’assurdo, visto che il presidente indagato per corruzione, lungi dall’astenersi, ha presieduto la seduta della giunta per il regolamento chiamata a votare la mozione sulle sue dimissioni del presidente del parlamentino lombardo. Mozione che, neanche a dirlo, è stata respinta e giudicata «inammissibile».

Le novità giudiziarie. Non si tratta di vere e proprie novità, ma del deposito degli interrogatori dei principali accusatori dell’esponente del Carroccio. «Sono a conoscenza - ha detto ai pm Gilberto Leuci, il consulente cognato di Michele Ugliola, il grande accusatore di Boni – che i soldi per la politica dovevano essere destinati pro quota ai partiti che reggevano la giunta Cassanese, in particolare Forza Italia e Lega Nord». Leuci dice di non aver mai consegnato denaro, ma afferma che «per montare affari immobiliari in Lombardia era necessario fare un passaggio da Boni e da Ghezzi». Ugliola rincara la dose, sostenendo che il «sistema» avrebbe superato i confini di Cassano d’Adda.

Una situazione imbarazzante. Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno del Carroccio, non si sbilancia: «Non commento queste vicende, ho letto che sono i verbali dell’ottobre scorso, non ho niente da dire». E Boni, dal canto suo, resiste sulla poltrona di presidente del Consiglio lombardo. La mozione che chiedeva le sue dimissioni è stata respinta perché il presidente gode degli stessi diritti delle alte cariche dello Stato. «Come avviene anche alla Camera dei Deputati e al Senato - spiega la giunta per il regolamento - si esprime il principio che la figura del presidente del Consiglio è caratterizzata da un ruolo neutrale e di garanzia. Pertanto, la sua permanenza in carica non può essere messa in discussione con atti di qualsiasi forma (revoca, sfiducia o invito a dimettersi), allo scopo di tutelare da qualsiasi possibile condizionamento le sue decisioni, i suoi atti e i suoi comportamenti all’interno del Consiglio». Punto, fine.

Tuona la minoranza, annunciando la presentazione di una nuova mozione, in aula forse già il prossimo 27 marzo. «Continueremo la nostra battaglia per tornare alle urne e sciogliere un Consiglio ormai privo di qualsiasi credibilità» insorgono i consiglieri dell’opposizione.

Che rilanciano, chiedendo, assieme alle dimissioni di Boni, anche quelle del presidente Roberto Formigoni. Il governatore dal canto suo assicura: «Credo che Boni nelle prossime giornate spiegherà la sua estraneità, ha sempre detto di essere estraneo, nei prossimi giorni spiegherà».

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