Ingroia getta la maschera: mi candido

Aveva assicurato: «Non mi candido». Detto fatto: Antonio Ingroia scende in campo, si veste di arancione e si prepara a chiedere il voto degli italiani come leader del Quarto Polo. La domanda di aspettativa per motivi elettorali è arrivata al Csm ieri pomeriggio direttamente dal Guatemala, dove l'ex procuratore aggiunto di Palermo era andato nelle scorse settimane, su mandato Onu, evidentemente per un breve periodo di decantazione. C'era da aspettarselo e infatti Michele Vietti, vicepresidente del Csm, commenta così la notizia: «L'unico sentimento che non provo è lo stupore».
Era da mesi che Ingroia aveva preso la rincorsa, affacciandosi alla vetrina mediatica. Ma in realtà da molto tempo esistevano due Ingroia pericolosamente concentrati nella stessa persona: il pm che metteva sotto indagine Marcello Dell'Utri, scavava negli affari del Cavaliere, vivisezionava la nascita di Forza Italia; poi il saggista che attaccava a testa bassa il governo Berlusconi e scriveva un saggio polemico C'era una volta l'intercettazione, per attaccare la politica giudiziaria del centrodestra. Questo sottile equilibrio si è progressivamente rotto nei mesi scorsi, quando il procuratore ha moltiplicato i suoi interventi a congressi di partito e di quotidiano, programmi e talk televisivi. Sotto tutte le requisitorie piazzava sempre la stessa didascalia: «Sono un partigiano della Costituzione». Adesso si scopre che è solo un partigiano, anche se lui, sapientemente, frena moltiplicando l'effetto attesa: «Non ho ancora deciso se candidarmi, l'aspettativa è solo cautelativa».
Di cautela in cautela, è ormai piantato al centro dell'arena dove, del resto, il suo nome rimbomba ogni giorno. È stato lui a gestire la complessa indagine sulla trattativa Stato-mafia oggi giunta al bivio dell'udienza preliminare. E proprio nell'ambito di questa inchiesta ha ascoltato i telefoni del Quirinale e invece di distruggere le intercettazioni ha ingaggiato un braccio di ferro con la presidenza della Repubblica, concluso con la sonora bocciatura davanti alla Corte costituzionale. Contemporaneamente dal pulpito di Ballarò e poi da quello di Servizio pubblico è entrato nelle case degli italiani predicando il verbo della legalità e di una nuova politica antimafia e bollando Berlusconi «come una vecchia e nefasta conoscenza». Nei giorni scorsi, fra una videoconferenza e una telefonata dal Guatemala, è arrivato anche l'endorsement per il Movimento arancione di Luigi de Magistris. «La vostra battaglia è anche la mia», ha spiegato ai militanti che lo applaudivano.
Adesso si fa sul serio e Ingroia è il primo firmatario del manifesto Io ci sto, subito seguito da Luigi de Magistris e dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Dieci i punti del programma che ha già calamitato diversi spezzoni della sinistra radicale: Paolo Ferrero di Rifondazione comunista, i Comunisti italiani di Oliviero Diliberto, l'Italia dei valori di Antonio Di Pietro, caso da manuale del maestro che viene superato dall'allievo.
Il Quarto polo fa le prove generali proponendo lo stato laico, lo sviluppo della scuola pubblica, la cacciata de partiti dal Cda Rai. E questo succede proprio nel giorno in cui Ingroia scivola malamente sul mancato pentimento del padrino Bernardo Provenzano: si scopre infatti che il 31 maggio scorso l'aveva avvicinato in cella a Parma e l'aveva interrogato, addirittura, come testimone cercando di aprire una frattura fra l'ex capo di Cosa nostra e l'organizzazione mafiosa. Un'operazione fallita, per il rifiuto di Provenzano di collaborare, ma anche azzardata perché non si capisce come il boss, un collezionista di condanne e processi, possa essere stato sentito come teste.

E infatti il gip dell'udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia Piergiorgio Morosini ha buttato nel cestino il verbale dichiarandolo nullo. Ora, senza lasciare la magistratura, ma solo sfruttando l'aspettativa cambia casacca: il secondo Ingroia ha vinto sul primo.

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